04 Oct, 2025 - 20:22

Francesca Albanese fa il pienone a Narni Scalo: dalla presentazione del libro al dibattito sul genocidio in Palestina

Francesca Albanese fa il pienone a Narni Scalo: dalla presentazione del libro al dibattito sul genocidio in Palestina

Ci sono incontri che restano nella cronaca degli eventi e altre che diventano, quasi senza accorgersene, esercizi di cittadinanza. Quello con Francesca Albanese a Narni Scalo appartiene alla seconda categoria. L’auditorium dell’Istituto "Luigi Valli" ha infatti ospitato la relatrice speciale Onu per i diritti umani nei territori palestinesi in dialogo con il giornalista di RaiNews24 Roberto Vicaretti. Sul palco anche il sindaco di Narni Lorenzo Lucarelli e l’assessore alla cultura Giovanni Rubini, in sala Thomas De Luca e Francesco De Rebotti.

L'affluenza è stata grandissima e in molti hanno seguito dal maxischermo nel piazzale esterno. Pochi convenevoli, qualche dato logistico e poi il nocciolo: cosa significa oggi, in Italia, parlare di Palestina senza aggirare i fatti e senza delegare la complessità agli slogan.

Narni Scalo, Francesca Albanese e l'importanza di questo libro adesso 

"Quando il mondo dorme" non è un memoriale né un pamphlet, ma un percorso dentro archivi, testimonianze e norme. Francesca Albanese ricorda un numero che da solo spiega l’urgenza di un discorso serio intorno al genocidio: "Sono almeno 250 i giornalisti uccisi perché Israele non vuole occhi all’interno della Palestina". La presentazione non può che diventare, quindi, fin da subito un dibattito collettivo su diritto internazionale, responsabilità degli Stati, catena delle complicità.

Il cuore dell’incontro è stato come, specialmente in Italia, si discute di Palestina e Israele: quali parole si usano e quali vengono rimosse. Albanese ha messo a fuoco il tema con senza tanti giri di parole: "Si è congelata la parola" - afferma - "la possibilità di liberare la parola e dire le cose come sono". La critica, anche verso il governo italiano (soprattutto dal pubblico), è quella di un dibattito spesso sterilizzato, più attento a silenziare che a comprendere. Ma la partecipazione di oggi testimonia una domanda di verità che attraversa generazioni e appartenenze.

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Generazioni, ferite, futuro: "Vogliono estirpare le radici"

In sala (e fuori) c’erano molti giovani. Non è un dettaglio, perché qui si colloca una parte decisiva del ragionamento fatto dai relatori. Il giornalista Roberto Vicaretti sottolinea come per ogni generazione ci sia un punto di rottura (la seconda guerra mondiale, gli anni di piombo, il G8 di Genova). Albanese rincara: "Per i giovani (ma non solo) è un momento di definizione della conoscenza della realtà perché questo genocidio per le generazioni più giovani è un qualcosa che marca. Un imbuto da cui si filtra la conoscenza della realtà".

Il concetto di ferita storica, spiega l’autrice, non si esaurisce nel presente: "Il genocidio non si vede solo nella distruzione del presente ma anche per la distruzione del futuro", e ancora, "nello strappare i germogli perché essi non crescano". 

Il nodo delle scelte: politica estera ed economia

Quando il discorso scivola dalle categorie giuridiche alle ricadute concrete, Francesca Albanese è netta: "Non si fanno affari con uno Stato che fa crimini di guerra, che mette in atto un genocidio". Non è un inciso morale, ma la traduzione in pratica di ciò che il diritto prescrive: controlli sugli scambi, coerenza nelle alleanze, criteri nelle forniture. È anche un appello alla società civile: "La Palestina ci sta svegliando, ha risvegliato in noi un senso di cultura civica". Lo vediamo nelle manifestazioni, nei blocchi dei portuali, nelle coscienze che tornano a farsi sentire.

Alla domanda "che possiamo fare?", quindi, si risponde tutto sommato in modo "semplice": i cittadini possono dire la loro facendosi sentire dal basso, come accade in Italia e in Umbria in questi giorni. Ma anche e soprattutto rendendosi sempre più consapevoli del proprio ruolo nel mondo e di cosa accade intorno e agire di conseguenza cercando di non essere complici. Perché come ricorda la relatrice speciale Onu per i diritti umani nei territori palestinesi "in troppi guadagnano dal genocidio".

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Giorgia Sdei
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