La cornice è Assisi, città-simbolo del dialogo, e l’occasione è la prima festa liturgica di San Carlo Acutis dopo la canonizzazione del 7 settembre. Da qui il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, torna a scandire con nettezza la linea vaticana sul conflitto israelo-palestinese: la prospettiva dei due Stati per due popoli come unica via realistica per una pace giusta e duratura. Una presa di posizione che risuona nel giorno in cui la città umbra ospita anche la Marcia PerugiAssisi, storica marcia per la pace.
“Continuiamo a ritenere che quella dei due Stati per due popoli sia la formula che può aiutare a risolvere i problemi e i rapporti tra ebrei e palestinesi ed è perfettamente in linea con quando noi abbiamo sempre chiesto”. Le parole di Parolin ribadiscono una postura diplomatica consolidata, che mira a tenere insieme sicurezza per Israele, dignità e autodeterminazione per i palestinesi. Non un generico auspicio, ma un orientamento politico e morale che la diplomazia vaticana ripete con coerenza nelle sedi internazionali, valorizzando il diritto e il negoziato come strumenti per disinnescare l’escalation e riaprire spiragli di dialogo.
Nel suo intervento, il cardinale lega senza ambiguità la parola “pace” alla parola “giustizia”. “Non ci sarà la vera pace senza che sia fatta giustizia per tutti i popoli”, ha affermato, ricordando che “come ha sempre detto la Chiesa a fondamento della pace deve esserci la giustizia”. Il messaggio è chiaro: cessare il fuoco o fermare le armi è condizione necessaria ma non sufficiente, occorre affrontare le cause strutturali dei conflitti, riconoscere i diritti negati, garantire sicurezza, libertà e sviluppo. È una grammatica della pace che chiama in causa governi, istituzioni internazionali e società civile, e che guarda oltre l’emergenza per costruire condizioni stabili di convivenza.
La città di San Francesco è da decenni un laboratorio di incontro tra fedi, culture e movimenti civili, qui la liturgia e la piazza parlano la stessa lingua, quella di una pace praticata, mai solo dichiarata. Nel giorno della Marcia per la Pace Perugia-Assisi, la riflessione di Parolin intreccia il registro religioso con quello pubblico: il richiamo alla giustizia dialoga con la domanda di pace che sale dai partecipanti alla marcia, unendo il livello personale (la responsabilità di ciascuno) a quello politico (le decisioni che contano). È un ponte simbolico tra l’altare e la strada che restituisce alla parola “pace” concretezza, impegni, priorità.
L’evento si colloca nella prima festa liturgica di San Carlo Acutis dopo la canonizzazione. “Siamo qui per pregare, celebrare e ringraziare il Signore per la canonizzazione di Carlo in questa terra francescana dove quello della pace è appunto uno dei temi più vivi e presenti, legato alla figura di San Francesco”, ha detto Parolin. Nel profilo del giovane santo si specchia una generazione che vive la rete come spazio esistenziale e missionario. Mettere insieme spiritualità francescana e linguaggi contemporanei significa anche educare a una cultura della pace nelle piattaforme dove si formano opinioni, si diffondono narrazioni, si alimentano conflitti o si disinnescano.
Il discorso del Segretario di Stato della Santa Sede non elude la fatica della diplomazia, ma rilancia un criterio: senza un orizzonte di giustizia, ogni negoziato resta fragile. La formula dei due Stati, ancorata al diritto internazionale e a un realismo capace di ascoltare paure e aspirazioni di entrambi i popoli, torna così bussola per istituzioni e leadership. Da Assisi arriva un invito a non rassegnarsi al cinismo della guerra, a riaprire canali, a sostenere percorsi umanitari e politici insieme. In un tempo segnato da crisi multiple, il binomio “due Stati e giustizia” indicato da Parolin è più di una linea: è un’agenda che chiede responsabilità e visione.