Non un semplice “covo”, ma una centrale logistica incastonata tra le case di Monteluce a Perugia. Proprio da lì, secondo gli inquirenti, passava l’eroina arrivata dall’Olanda prima di finire sulle piazze dell’Umbria e oltre. L’udienza del 3 novembre davanti al giudice dell’udienza preliminare Simona Di Maria ha fissato il primo punto fermo: condanne con rito abbreviato fino a 20 anni di reclusione per i principali imputati, a fronte di un quadro che tratteggia Perugia come snodo di una rotta stabile dello stupefacente.
Le indagini del Nucleo Investigativo dei Carabinieri, coordinate dal pm Mario Formisano, hanno seguito il filo di auto potenti che viaggiavano di notte e non lasciavano tracce apparenti. Secondo l’accusa, la sostanza veniva celata nelle ruote di scorta: un nascondiglio che ha consentito per mesi transiti silenziosi fino al quartiere perugino. Qui l’eroina sarebbe stata verificata da un tecnico – una figura con competenze chimiche – prima dello stoccaggio e del successivo frazionamento. Il terminale, un appartamento in via San Giuseppe utilizzato da cittadini nigeriani, è indicato come la “sala macchine” di un sistema diviso in comparti stagni.
Il reclutamento dei trasportatori, stando agli atti, puntava su affidabilità e basso profilo. Ogni viaggio poteva valere fino a 13mila euro: una cifra che rende l’idea della redditività ipotizzata dagli investigatori. Una volta in città, i carichi venivano spezzati e instradati su canali di spaccio con tecniche di occultamento ormai classiche: dosi nascoste in confezioni alimentari o ingerite in ovuli per eludere controlli. Stratagemmi che hanno reso necessario un lavoro paziente di monitoraggi e riscontri.
La sentenza in abbreviato ha portato a un ventaglio di pene: fino a 20 anni per i capi riconosciuti di maggiore responsabilità, poi 15, 11, 7, 6, 4 anni e mezzo e 2 anni e 4 mesi per altre posizioni. Per quattro imputati è stato invece disposto il rinvio a giudizio: il processo ordinario si aprirà il 17 dicembre e metterà alla prova la ricostruzione della Procura con un contraddittorio pieno su ruoli, condotte e aggravanti. Il gruppo perugino, secondo l’impianto accusatorio, era il braccio locale di un’organizzazione collegata a un clan nigeriano con diramazioni in Campania.
La stima complessiva parla di circa 250 chilogrammi di eroina introdotti in Italia in pochi mesi, per un giro d’affari superiore ai 15 milioni di euro. L’asse Olanda–Umbria, con Perugia come cerniera, avrebbe alimentato non solo la domanda locale ma una rete interregionale. A sostegno dell’ipotesi accusatoria, gli investigatori evidenziano la cura della logistica, la rotazione dei veicoli e la frammentazione dei compiti, elementi che avrebbero reso il sistema resiliente fino agli arresti e ai sequestri.
Nella stessa udienza si sono registrati accordi di patteggiamento con pene comprese fra 6 mesi e un anno e dieci mesi. Gli imputati sono assistiti dagli avvocati Daniela Paccoi, Guido Maria Rondoni, Fabio Della Corte (Foro di Napoli Nord), Vincenzo Bochicchio, Donatella Panzarola e Christian Giorni. In dibattimento, per i rinviati a giudizio, si discuterà in modo più approfondito su elementi probatori, partecipazione alle condotte e corretto inquadramento giuridico.
L’operazione conferma l’attenzione delle forze dell’ordine sulle rotte del Nord Europa e sulle basi logistiche in aree residenziali. Perugia, crocevia di collegamenti stradali, emerge come punto sensibile nelle dinamiche del traffico: la sentenza odierna rafforza il messaggio di contrasto, mentre l’udienza del 17 dicembre completerà il quadro giudiziario.