Il treno della protesta ha già lasciato la stazione. Mentre l'Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) conferma le interlocuzioni in corso per la delibera 178/2024, i Comitati Pendolari di Umbria e Lazio alzano la voce e denunciano quello che considerano un vero e proprio "tradimento del diritto alla mobilità". Dal primo gennaio 2026, i treni regionali con velocità inferiore a 200 km/h non potranno più utilizzare la Direttissima Roma-Firenze, finendo relegati sulla linea lenta come passeggeri di seconda classe.
La mobilitazione non è più un sussurro nelle stazioni: è diventata un coro che attraversa i territori, dalle sale consiliari di Viterbo agli incontri pubblici di Foligno, passando per le proteste simboliche dei sindaci che hanno percorso la linea lenta per toccare con mano l'agonia dei collegamenti. "Così si nega il diritto alla mobilità e si condannano i territori", tuonano i comitati in un comunicato che suona come un ultimatum alle istituzioni.
I pendolari descrivono una realtà fatta di treni sovraffollati, convogli sporchi, riscaldamenti che non funzionano d'inverno e aria condizionata in tilt d'estate. A questo si aggiungono ritardi cronici e l'incertezza degli orari che rende impossibile rispettare gli impegni lavorativi, costringendo a un ricorso continuo ai permessi e creando tensioni nella gestione familiare.
L'estate 2025 porterà ulteriori complicazioni: dall'11 agosto al 6 settembre, i lavori programmati sulla linea Terni-Roma comporteranno la sospensione completa del servizio treni, senza che sia stata fornita alcuna informazione concreta sui servizi sostitutivi. Sul sito Trenitalia risultano bloccate tutte le soluzioni di viaggio, ad eccezione di qualche Intercity in orari proibitivi.
Parallelamente, sulla tratta Orte-Attigliano-Viterbo, dal primo luglio al 31 agostosono in corso lavori straordinari che costringono i viaggiatori a utilizzare autobus sostitutivi, con inevitabili allungamenti dei tempi di percorrenza e disservizi legati al cambio del mezzo.
I Comitati Pendolari di Terni, Orte e della Teverina hanno messo nero su bianco le loro richieste, trasformando il grido di protesta in un programma politico concreto. Il decalogo della mobilitazione si articola in cinque punti strategici che toccano l'emergenza immediata e la pianificazione futura:
Il documento non nasconde la frustrazione di una battaglia che sembra combattuta contro mulini a vento."Ribadiamo con forza: senza un intervento politico immediato e vincolante, dal 1° gennaio 2026 migliaia di pendolari saranno condannati a un servizio ferroviario più lento, meno frequente e inaffidabile", scrivono i comitati, paventando"pesanti ricadute sociali, economiche ed ecologiche sull'intero Centro Italia".
La questione assume contorni paradossali quando si considera che l'Umbria ha investito circa 175 milioni di euro per dotarsi di treni moderni ed efficienti, progettati specificamente per sfruttare le potenzialità della Direttissima. I nuovi convogli ETR 108, dotati del sistema ERTMS e capaci di raggiungere i 200 km/h, dovrebbero entrare in servizio proprio nel 2026, ma rischiando di diventare tigri di carta su una linea lenta che ne vanifica le caratteristiche tecniche.
La mobilitazione ha assunto i caratteri di una resistenza civile che attraversa le appartenenze politiche. Dal Movimento 5 Stelle con l'onorevole Pavanelli ai sindaci di diverso colore politico che hanno simbolicamente percorso la linea lenta, fino ai consigli provinciali e comunali che hanno dedicato sedute straordinarie al tema, si è creato un fronte trasversale che raramente si vede nelle dinamiche politiche contemporanee.
L'evento "Linea Lenta" di Terni del 21-22 luglio ha rappresentato il momento più significativo di questa mobilitazione, riunendo istituzioni, imprenditori, comitati e cittadini in un confronto che ha messo a nudo l'impatto economico e sociale della crisi ferroviaria. Non solo disagio per i pendolari, ma anche un freno allo sviluppo economico di territori che vedono nei collegamenti ferroviari efficienti una conditio sine qua non per attrarre investimenti e trattenere le proprie eccellenze.
La strategia dei comitati punta anche sull'impatto ambientale della delibera ART. Il dirottamento dei treni regionali sulla linea lenta rischia di spingere migliaia di persone verso l'uso dell'auto privata, in aperto contrasto con le politiche di mobilità sostenibile e con gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dall'Unione Europea. Una contraddizione che assume i toni dell'assurdo in un'epoca in cui la transizione ecologica dovrebbe privilegiare il trasporto pubblico su ferro.
La questione tocca anche strumenti innovativi come la Carta Tutto Treno Umbria, pensata per facilitare l'intermodalità tra treni regionali e alta velocità. Con la relegazione dei regionali sulla linea lenta, questo strumento rischia di perdere gran parte della sua efficacia, costringendo i pendolari verso i più costosi servizi Frecciarossa o Italo con un aggravio economico insostenibile per molte famiglie.
Il tempo stringe e la politica sembra muoversi con la lentezza dei treni che i pendolari vorrebbero evitare."Il trasporto regionale è fondamentale per la coesione territoriale, non un ostacolo all'alta velocità", ribadiscono i comitati con una formula che suona come un manifesto."Servono risposte politiche ora, prima che la crisi esploda nel 2026". Il countdown è iniziato, e ogni giorno che passa rende più difficile trovare soluzioni che non lascino sul binario morto intere comunità del Centro Italia.
Stefano Bandecchi, presidente della Provincia di Terni, non usa mezzi termini nel definire la situazione. Ha chiesto un incontro urgente al Ministero delle Infrastrutture, all'ART, alla Presidenza del Consiglio e alla Corte dei Conti per evitare "conseguenze catastrofiche". Sul tavolo c'è la perdita di oltre 50 milioni di euro investiti dalla Regione Umbria per l'acquisto di nuovi treni ETR 108, progettati per essere compatibili con la Direttissima ma che rischiano di diventare gioielli inutilizzabili.
Il sindaco ternano ha inviato una nota ufficiale a Trenitalia il 22 luglio, dopo un incontro istituzionale con l'assessore ai trasporti, per sollecitare"risposte e garanzie" concrete. Ma le rassicurazioni tardano ad arrivare, mentre la data del primo gennaio 2026 si avvicina come una ghigliottina.
La situazione attuale non offre consolazioni: secondo Ferrovie.info, l'ART conferma di essere in dialogo con RFI,Trenitalia e le Regioni per valutare "soluzioni temporanee e possibili deroghe parziali". Tuttavia, i comitati denunciano l'assenza di "decisioni formali né garanzie concrete" per chi ogni giorno affronta il pendolarismo come un'odissea quotidiana.