Passo decisivo nell’iter di Laura Santi, giornalista perugina di 50 anni affetta da sclerosi multipla avanzata. In questi giorni le è stata recapitata dall’Asl Umbria 1 la comunicazione ufficiale contenente le indicazioni mediche dettagliate su come procedere al suicidio assistito, l’ultimo tassello di un lungo percorso burocratico.
Questo significa che Santi potrà scegliere di porre fine alle proprie sofferenze direttamente in Umbria, quando lo riterrà opportuno, senza dover affrontare il viaggio della speranza in Svizzera che aveva preso in considerazione nei mesi scorsi.
L’autorizzazione dell’azienda sanitaria, inviata via mail, indica nei dettagli il protocollo sanitario del suicidio medicalmente assistito (un atto che dovrà compiere la stessa paziente in modo autonomo). Si tratta del “ultimo miglio” procedurale che mancava dallo scorso autunno: già da novembre 2024, infatti, a Laura erano stati riconosciuti tutti i requisiti previsti per poter accedere legalmente al fine vita, ma mancava il come, ovvero le modalità esecutive concrete.
Secondo quanto riportato dall’ANSA, resta ancora un dettaglio formale da definire: si attende la comunicazione ufficiale e definitiva sulla scelta del farmaco letale da impiegare. Questo chiarimento, di competenza del Comitato etico o della commissione medica, è l’ultimo elemento tecnico perché la procedura possa essere attuata senza ulteriori incertezze. Nonostante ciò, la risposta dell’Asl rappresenta di fatto il via libera finale: per la prima volta in Umbria viene predisposto un protocollo pubblico per assistere una persona nell’atto di porre fine volontariamente alla propria vita.
Laura Santi combatte da anni una battaglia personale e civile per il diritto al fine vita. La giornalista perugina, costretta da una forma progressiva di sclerosi multipla alla tetraplegia e a sofferenze quotidiane, ha intrapreso un iter durato circa due anni attraverso richieste, pareri medici e azioni legali. Nell’autunno 2024 aveva ottenuto una prima storica vittoria: l’Usl Umbria 1 e il Comitato etico regionale avevano riconosciuto che nel suo caso sussistevano tutti e quattro i requisiti stabiliti dalla Corte costituzionale per accedere al suicidio assistito. “Felice di sentirmi veramente libera di scegliere”, commentò allora Santi, pur consapevole che si trattava solo di un passo intermedio.
Con quel parere favorevole Laura Santi divenne la prima persona in Umbria (e la nona in Italia) ad ottenere il via libera preliminare all’accesso legale al suicidio assistito. Restava però da compiere il passo successivo: definire in concreto il protocollo medico, cioè quale farmaco utilizzare e con quali modalità somministrarlo in sicurezza. A novembre era stato preannunciato un incontro tecnico per individuare farmaco e modalità, ma i mesi sono passati senza sviluppi tangibili.
Di fronte al silenzio protratto delle istituzioni sanitarie umbre, Santi ha vissuto un crescente sconforto. A fine aprile 2025 ha rivelato pubblicamente di aver preso contatti con un’organizzazione svizzera attiva nel supporto al suicidio assistito, ventilando l’ipotesi di andare all’estero per morire pur di non rimanere intrappolata nelle lungaggini burocratiche italiane.
In un appello affidato ai social, la giornalista ha chiesto di non essere giudicata ma compresa, descrivendo la sua vita ormai ridotta a sofferenza estrema – “una routine faticosa, dolorosa, alienante e vuota… su un corpo tetraplegico e pieno di dolori” – e implorando le istituzioni di darle finalmente una risposta. Proprio quella risposta, invocata come un atto di rispetto e dignità, è arrivata nelle scorse ore con la comunicazione dell’Asl.
L’ottenimento del protocollo operativo dall’Asl ha un peso decisivo sia sul piano legale sia su quello sanitario. Dal punto di vista giuridico, la presenza di un’autorizzazione formale e di linee guida mediche significa che l’eventuale aiuto fornito a Laura Santi per morire rientrerà nei confini di legalità tracciati dalla Corte Costituzionale, evitando conseguenze penali per le persone coinvolte. In Italia, infatti, l’aiuto al suicidio è penalmente perseguibile in base all’art. 580 del Codice penale; tuttavia, la sentenza n. 242/2019 (nota come sentenza Cappato) della Consulta ha stabilito una significativa esenzione: assistere un malato nel suicidio non è punibile quando ricorrono quattro rigorose condizioni. Tali condizioni – piena capacità di decidere, presenza di una patologia irreversibile fonte di sofferenze insopportabili, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e aver esplorato le alternative di cura – sono proprio quelle verificate e riconosciute nel caso di Santi. Dunque, grazie al rispetto di questi requisiti certificato dalla commissione medica, il via libera dell’Asl mette al riparo medici e familiari da incriminazioni, garantendo a Laura il diritto di procedere secondo la legge.
Sul piano sanitario, la comunicazione ricevuta da Laura Santi fornisce un protocollo clinico dettagliato: vengono definite le modalità pratiche con cui verrà condotto il suicidio medicalmente assistito, in modo da tutelare la dignità e la sicurezza della paziente. In base a quanto filtrato, l’atto finale dovrà essere compiuto autonomamente dalla stessa Santi – ad esempio attraverso l’azionamento di un dispositivo che le consentirà di auto-somministrarsi il farmaco letale – sotto supervisione medica. Già in precedenti casi analoghi, la procedura è avvenuta nell’abitazione del malato alla presenza di sanitari: nel 2022, ad esempio, il marchigiano Federico Carboni (conosciuto come “Mario”) assunse il farmaco letale da sé, tramite un macchinario speciale, sotto il controllo di un medico anestesista e con accanto familiari e attivisti. Il protocollo definito per Laura Santi conterrà presumibilmente indicazioni analoghe, inclusa la tipologia di farmaco da utilizzare (verosimilmente un anestetico ad alto dosaggio) e le cautele da adottare prima, durante e dopo la somministrazione. A tal proposito, come detto, si attende solo l’ufficializzazione del nome del farmaco prescelto per completare ogni aspetto operativo. L’intervento dell’azienda sanitaria – pur in assenza di una legge specifica sul suicidio assistito – garantisce dunque un supporto medico regolato, evitando che la persona malata debba improvvisare soluzioni di fortuna o rivolgersi all’estero. È un precedente importante per il servizio sanitario regionale umbro, chiamato per la prima volta a farsi carico attivo di un caso di fine vita assistito.
Il caso di Laura Santi si inserisce nel complesso dibattito italiano sul fine vita, in particolare sul confine tra lecito e illecito in tema di assistenza al suicidio e eutanasia. Ad oggi in Italia manca una legge organica che disciplini il suicidio assistito: la pratica rimane formalmente vietata dall’art. 580 C.p., ma dopo vicende giudiziarie clamorose la giurisprudenza ha aperto uno spiraglio. Il punto di svolta è stato il caso di Fabiano Antoniani (DJ Fabo), tetraplegico cieco che nel 2017 scelse il suicidio assistito in Svizzera accompagnato dall’attivista Marco Cappato.
Quest’ultimo, autodenunciatosi al rientro in Italia, fu inizialmente indagato per aiuto al suicidio; la Corte Costituzionale, investita della questione, con la storica pronuncia n.242 del 2019 ha indicato che la punibilità va esclusa in presenza dei quattro requisiti sopra citati. Ne è seguito un vuoto normativo colmato solo in parte dalle linee-guida della Consulta: il Parlamento ha avviato discussioni su una legge (una proposta è stata approvata alla Camera nel 2022, ma non è mai giunta al voto in Senato), e un referendum abrogativo sull’eutanasia attiva è stato dichiarato inammissibile dalla stessa Consulta nel 2022.