14 Sep, 2025 - 19:00

Ceri di Gubbio: dall’ariete da guerra al simbolo di pace. La nuova ipotesi presentata in Biblioteca Sperelliana

Ceri di Gubbio: dall’ariete da guerra al simbolo di pace. La nuova ipotesi presentata in Biblioteca Sperelliana

Nella prestigiosa Sala dell’ex Refettorio della Biblioteca Comunale Sperelliana, gremita di pubblico, si è svolto il 13 settembre 2025 un incontro di studio che ha riacceso il dibattito sulle origini della Festa dei Ceri. L’evento, organizzato dal Centro di Documentazione e Studio sulla Festa dei Ceri “Adolfo Barbi”, ha visto la partecipazione di figure di primo piano: il direttore del Corriere dell’Umbria Sergio Casagrande, il Sindaco di Gubbio Vittorio Fiorucci, e gli studiosi Vincenzo Ambrogi e Mario Farneti, autori dell’articolo “I Ceri: da macchine di guerra a strumenti di pace” pubblicato sul Bollettino di Documentazione e Studio sulla Festa dei Ceri “Adolfo Barbi” anno III, 2025, numero 4
L’incontro, seguito con attenzione da appassionati, ceraioli e studiosi, ha offerto nuove chiavi di lettura per comprendere il significato profondo della Corsa e della forma stessa dei Ceri.


Un’ipotesi “vecchia-nuova” sulla genesi della Festa

Ambrogi e Farneti hanno presentato la loro ricerca con un taglio storico-critico, sottolineando come la Festa dei Ceri sia da sempre difficile da spiegare persino agli eugubini. “Certi momenti della manifestazione hanno ormai un’interpretazione dogmatica che è arduo mettere in discussione”, ha osservato Ambrogi,eppure è sempre stimolante provare a rianalizzare le diverse azioni della festa, perché niente è più nascosto di ciò che sta sotto gli occhi di tutti”.
L’ipotesi discussa è che i Ceri derivino da antiche macchine da guerra, in particolare arieti usati negli assedi medievali, poi trasformati in oggetti di culto e processione. Non una semplice processione votiva, quindi, ma una rievocazione rituale di un evento storico preciso: la vittoria di Gubbio, nel 1151, contro undici città e castelli confederati che avevano posto l’assedio alle mura cittadine.

La forma dei Ceri e il richiamo all’ariete

Uno dei punti più suggestivi dell’intervento è stato l’approfondimento sulla morfologia dei Ceri. “Non ci vuole molta fantasia ad accostarli all’ariete”, ha spiegato Ambrogi, illustrando come le due sezioni allungate – i cosiddetti buzzi – richiamino i magli cilindrici descritti a suo tempo da Vitruvio e rappresentati sulla Colonna Traiana.


Secondo lo studio, la forma attuale dei Ceri non sarebbe frutto di un’evoluzione lenta e spontanea, ma di un progetto unitario sviluppato nella seconda metà del Quattrocento, probabilmente alla corte di Federico da Montefeltro. Qui sarebbe entrato in gioco l’ingegnere e architetto Francesco di Giorgio Martini, autore di celebri macchine belliche e raffinato teorico della geometria proiettiva. “Francesco di Giorgio potrebbe aver ingentilito la forma del cero, trasformando le rozze espansioni cilindriche degli arieti in prismi poliedrici, senza stravolgerne la struttura originaria”, hanno spiegato gli Autori.

La corsa come rito di assalto

Uno degli aspetti più affascinanti messi in luce è la dinamica finale della corsa, quando i Ceri vengono lanciati a tutta velocità dentro il chiostro della Basilica di Sant’Ubaldo.È il momento più carico di tensione e più difficile da spiegare a chi non è eugubino”, ha commentato Ambrogi.
Secondo gli autori, questo gesto sarebbe la rievocazione simbolica dell’irruzione attraverso una porta fortificata durante un assedio. La chiusura delle ante del portone davanti ai Ceri di San Giorgio e Sant’Antonio, che tentano di entrare insieme al Cero di Sant’Ubaldo, rappresenterebbe la lotta per conquistare la città nemica e il diritto di partecipare al bottino.

Il significato bellico e la catarsi collettiva

La Festa dei Ceri, spiegano Ambrogi e Farneti, è intrisa di riferimenti marziali: canti, cameratismo, benedizione dei ceraioli “in articulo mortis”, esclusiva partecipazione maschile, alternanza dei portatori per avere sempre “uomini freschi” al momento cruciale.
Ma proprio questo elemento bellico si trasformerebbe in uno strumento di pacificazione sociale. “I Ceri sono nati come macchine da guerra, ma oggi sono strumenti di pace”, ha detto Farneti, citando l’antropologa Anita Seppilli che interpretava la festa come un potente rito catartico. La comunità, attraverso la corsa e la competizione, si purificherebbe dalle tensioni sociali e incanalerebbe in forma rituale la propria aggressività. Un riferimento anche alle discipline orientali sul tipo del Bushido, ricalcate in Occidente dall’etica della cavalleria il cui primo scopo non era l’uccisione del nemico ma anzi riuscire ad averne ragione senza combattere.


Il ruolo di Federico da Montefeltro

Il sindaco Vittorio Fiorucci, nel suo saluto, ha ricordato l’importanza del Duca Federico per la storia di Gubbio e ha sottolineato come la Festa dei Ceri sia anche un fatto identitario. “Federico fu devotissimo di Sant’Ubaldo”, ha detto Fiorucci, “e fece voto per la nascita del suo erede, Guido Ubaldo. È plausibile che il Duca abbia voluto dare alla festa un’impronta solenne, regolamentando il trasporto dei Ceri e nobilitandone la forma.”
Questa visione viene confermata dai documenti d’archivio del 1471, in cui i gonfalonieri e i consoli di Gubbio chiesero l’intervento del signore per ridare prestigio alla festa.

Il momento clou: il modellino dell’ariete

La parte più attesa dell’incontro è stata la presentazione di un modellino di ariete, fedelmente ricostruito da un artigiano eugubino sulla base delle ricerche di Ambrogi.
Alla fine della conferenza, lo studioso ha mostrato il modellino al pubblico, suscitando curiosità e applausi. “Guardate bene”, ha detto Ambrogi, “questa potrebbe essere il vero antenato del nostro Cero: una macchina d’assedio trasformata nei secoli in un simbolo di fede e di unità cittadina”.Molti presenti si sono avvicinati per osservare da vicino il manufatto, che riproduce con precisione i dettagli descritti nell’articolo: le masse translanti, la struttura a due corpi, le “manicchie” per il trasporto orizzontale.


Una ricerca che apre nuove prospettive

Il direttore del Corriere dell’Umbria, Sergio Casagrande, nel suo intervento conclusivo, ha lodato la ricerca di Ambrogi e Farneti per la capacità di unire rigore storico e passione civile. “Non si tratta solo di riscoprire un passato guerriero”, ha detto, “ma di capire come una comunità trasformi la memoria di un assedio in un rito che ogni anno unisce, emoziona e pacifica”.
L’incontro si è chiuso con un dibattito vivace, nel quale ceraioli storici e studiosi hanno discusso sull’opportunità di proseguire queste ricerche.

I Ceri tra guerra e pace

La tesi dei “ceri-arieti” non è solo un’ipotesi affascinante: è un invito a rileggere la Festa dei Ceri come un rito di trasformazione, capace di sublimare la memoria di un conflitto in un’esperienza collettiva di gioia e di catarsi.
“Tutte le ipotesi formulate finora hanno un fondamento”, hanno concluso Ambrogi e Farneti, “perché la nostra festa ha una genesi multistratificata e plurisecolare. Ma se davvero i Ceri derivano da macchine da guerra, allora il loro significato oggi è ancora più potente: trasformare l’arma in simbolo di coesione, l’assedio in festa, la guerra in pace.”

AUTORE
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Lorenzo Farneti
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