L’Umbria torna a confrontarsi con un problema antico ma mai risolto: la fragilità sanitaria all’interno degli istituti di pena. Nelle carceri di Perugia e Terni sono stati riscontrati una decina di casi di scabbia, una patologia cutanea contagiosa ma generalmente non grave. L’allarme è arrivato dal garante regionale dei detenuti, Giuseppe Caforio, che ha tracciato un quadro chiaro: la situazione è sotto controllo, ma il sistema sanitario penitenziario mostra tutte le sue crepe strutturali.
Secondo quanto ricostruito dal garante, il primo caso sarebbe stato introdotto da un detenuto proveniente da un altro istituto penitenziario. Da lì, il contagio si sarebbe diffuso rapidamente, favorito dalla promiscuità delle celle e dalle difficoltà nel riconoscere tempestivamente i sintomi. La scabbia, infatti, si manifesta con pruriti intensi e irritazioni cutanee, sintomi che in contesti di sovraffollamento possono essere facilmente sottovalutati o confusi con altre patologie minori.
Nonostante la preoccupazione, le direzioni dei due istituti umbri hanno reagito con prontezza. A Terni la situazione è stata contenuta attraverso l’isolamento dei casi positivi e l’applicazione di terapie mirate, accompagnate da un incremento delle misure igieniche. A Perugia, invece, il fenomeno ha assunto dimensioni più ampie, con alcuni familiari dei detenuti che hanno segnalato ritardi negli interventi e difficoltà di comunicazione con le strutture.
Al di là dell’episodio specifico, l’allarme di Caforio porta alla luce una questione ben più ampia: la sanità carceraria italiana, e in particolare quella umbra, vive una condizione di sofferenza cronica. Le strutture, nate per ospitare un numero di detenuti molto inferiore rispetto alla popolazione attuale, faticano a garantire standard minimi di assistenza.
La carenza di personale è uno dei nodi principali. Medici e infermieri sono pochi, spesso precari, e il turnover è altissimo. In molti istituti, i detenuti si trovano di fronte un professionista diverso a ogni visita, rendendo impossibile un vero percorso di cura continuativo. Questo non solo mina la fiducia nel sistema, ma complica anche la gestione di malattie infettive che richiedono monitoraggio costante e interventi tempestivi.
Monitorare la salute di centinaia di persone in spazi ristretti rappresenta una sfida enorme. A Terni, ad esempio, i detenuti sono oltre cinquecento; a Perugia, la cifra è simile. In queste condizioni, il controllo quotidiano dei sintomi diventa praticamente impossibile se non vi è una segnalazione diretta da parte dei reclusi. La paura di stigmatizzazione, la mancanza di fiducia o semplicemente la rassegnazione fanno sì che molti non denuncino i disturbi subito, permettendo al contagio di diffondersi più facilmente.
Il caso della scabbia, dunque, è solo un campanello d’allarme in un contesto sanitario già al limite. In passato, negli stessi istituti, si erano registrati episodi di tubercolosi e altre infezioni dermatologiche, sempre gestiti con interventi d’emergenza ma senza mai risolvere i problemi alla radice.
Caforio, che segue da vicino la vicenda, ha ribadito la necessità di un intervento strutturale da parte delle istituzioni. L’idea è quella di istituire un fondo nazionale destinato a incentivare il personale sanitario che sceglie di operare nelle carceri. Un riconoscimento economico e professionale che possa attrarre figure competenti e garantire continuità al servizio.
Si tratta di una richiesta che, se accolta, potrebbe rappresentare un primo passo per ridare dignità a un sistema che oggi vive di emergenze. Perché la salute, anche dietro le sbarre, è un diritto costituzionale, e lo Stato ha l’obbligo di tutelarla con la stessa attenzione riservata ai cittadini in libertà.
L’altro grande tema sollevato dall’allarme scabbia riguarda le condizioni di vita all’interno delle celle. Il sovraffollamento resta una piaga strutturale: spazi angusti, letti a castello, servizi igienici condivisi e spesso inadeguati. Tutto ciò favorisce il proliferare di malattie infettive e rende difficilissima l’attuazione di misure preventive efficaci.
Gli interventi di disinfestazione, la distribuzione di biancheria pulita e la sanificazione degli ambienti, pur essendo previsti, spesso subiscono ritardi o vengono applicati in modo disomogeneo, anche per mancanza di fondi. Nel frattempo, i detenuti e il personale penitenziario vivono fianco a fianco in un clima di comprensibile tensione, dove ogni nuovo sintomo scatena preoccupazione e sospetto.