Un nuovo sequestro di droga all’interno del carcere di Terni riaccende i riflettori su una realtà tanto silenziosa quanto preoccupante: quella dei traffici illeciti che continuano a insinuarsi tra le mura degli istituti penitenziari italiani. Stavolta, a Terni, la sostanza stupefacente - circa 150 grammi - è stata rinvenuta all’interno di una cella frigorifera, accuratamente nascosta, segno di un modus operandi ormai esperto e ben organizzato.
A scoprirla è stata la polizia penitenziaria durante un’operazione mirata, condotta da due giovani agenti della polizia giudiziaria con il supporto del reparto a media sicurezza. Un lavoro di squadra, silenzioso e determinante, che ha permesso di sventare l’ennesimo tentativo di spaccio interno, a pochi giorni da un altro ritrovamento: un pacco regalo contenente cocaina, intercettato prima che raggiungesse i detenuti.
Secondo quanto reso noto dal Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), il canale d’ingresso della droga potrebbe essere quello dei cosiddetti “pacchi-dono”, le consegne che i familiari inviano ai propri congiunti reclusi. Dietro a gesti all’apparenza innocui si celerebbe un sistema collaudato, capace di sfruttare ogni spiraglio per introdurre sostanze stupefacenti o oggetti proibiti nelle sezioni detentive.
Il segretario nazionale del Sappe Umbria, Fabrizio Bonino, ha tracciato un quadro complesso e allarmante della situazione, descrivendo un meccanismo di traffico interno che poggia su connivenze esterne e contatti con la criminalità organizzata.
Le dinamiche, come emerge dalla sua analisi, sarebbero ormai sempre più sofisticate: piccoli quantitativi di droga o cellulari entrano nelle carceri attraverso canali secondari, spesso con la complicità di soggetti esterni, talvolta familiari dei detenuti stessi.
Non si tratta di episodi isolati, ma di un sistema criminale fluido, che sfrutta la vulnerabilità del contesto penitenziario e la carenza di risorse delle forze dell’ordine. Le intimidazioni, secondo Bonino, rappresentano una costante: i detenuti più fragili o con problemi economici diventano bersagli facili, utilizzati come corrieri o intermediari in cambio di protezione o piccoli favori.
In questo scenario, l’impegno della polizia penitenziaria di Terni si conferma essenziale. Le operazioni investigative interne condotte dal reparto di polizia giudiziaria rappresentano, oggi più che mai, l’unico argine contro una macchina criminale che evolve con rapidità e che riesce a insinuarsi anche negli ambienti più sorvegliati.
L’intervento del Sappe non si limita al plauso per l’operazione: il sindacato sottolinea con forza le condizioni di lavoro sempre più difficili all’interno degli istituti penitenziari umbri. Il carcere di Terni, in particolare, vive una condizione di sovraffollamento cronico, con un numero di detenuti superiore rispetto alla capienza regolamentare e un organico di polizia penitenziaria ridotto all’osso.
La realtà, come emerge dall’analisi di Bonino, è che ogni successo operativo rischia di mascherare un problema più profondo: gli agenti lavorano quotidianamente in un contesto definito “insidioso e pericoloso”, dove le aggressioni al personale sono all’ordine del giorno e i turni di lavoro si moltiplicano a causa della mancanza di rinforzi.
La denuncia è chiara: le forze di polizia penitenziaria combattono una guerra impari, armate solo di esperienza, intuito e coraggio, contro un nemico che può contare su reti criminali esterne, risorse economiche e una capacità logistica sempre più raffinata.A questo si aggiunge un’altra criticità: la mancanza di tecnologie di rilevamento moderne.
La richiesta è triplice: potenziamento organico, modernizzazione tecnologica e interventi strutturali sugli istituti. Senza questi strumenti, la lotta ai traffici illeciti e la gestione della sicurezza interna rischiano di diventare missioni impossibili.
L’operazione di Terni, per quanto significativa, rappresenta dunque una vittoria parziale in una battaglia quotidiana. Ogni sequestro di droga o oggetto proibito conferma la determinazione del personale, ma al tempo stesso evidenzia la vulnerabilità di un sistema che necessita di riforme urgenti e di una strategia nazionale più incisiva contro il microtraffico carcerario.