L’Umbria entra ufficialmente nell’ambito della ZES Unica (la Zona Economica Speciale), insieme alle Marche, con l’obiettivo di attrarre investimenti, accelerare le autorizzazioni e dare nuova linfa a un’economia in sofferenza. Per Luca Bianchi, direttore dello Svimez, si tratta di “un’opportunità per sperimentare un nuovo modello di sviluppo capace di rilanciare le aree in declino” - ma senza un piano mirato e un’azione coordinata, il rischio è che resti un intervento spot.
L’estensione della Zona Economica Speciale all’Umbria è, per Bianchi, una “buona notizia” che tuttavia fotografa una realtà preoccupante: la progressiva perdita di competitività del Centro Italia, e in particolare delle regioni umbro-marchigiane.
I numeri parlano chiaro: il PIL pro capite dell’Umbria, che nel 2000 superava di oltre 20 punti la media europea, è sceso al 100% nel 2009 e oggi è fermo all’83%. Nello stesso arco di tempo le Marche sono passate dal 116% al 91%. Sono le uniche due regioni italiane fuori dal Mezzogiorno con valori inferiori alla media UE.
Per Bianchi, questo è il segnale di una frattura interna al Centro Italia: “Il Lazio cresce trainato da Roma, mentre Umbria e Marche non riescono a recuperare un tasso di crescita significativo”.
La fotografia economica è il risultato di fattori strutturali: tessuto industriale sotto pressione, mercati di sbocco fragili, export colpito dalle politiche protezionistiche internazionali e infrastrutture carenti - in particolare nei collegamenti est-ovest che limitano l’accesso ai porti e alle principali arterie di scambio.
L’esperienza della ZES Unica nel Mezzogiorno - dopo la trasformazione da interventi frammentati a strategia unitaria - ha mostrato risultati concreti: aumento degli investimenti privati, semplificazione autorizzativa e riduzione dei tempi burocratici.
Replicare questo modello in Umbria è possibile, ma solo con un approccio mirato. “Perché funzioni - sottolinea Bianchi - serve individuare settori di specializzazione e interventi puntuali in grado di rafforzare il tessuto industriale e turistico. E soprattutto un programma infrastrutturale che superi i divari logistici che penalizzano l’area”.
L’analisi di Svimez mette in evidenza due priorità:
Collegamenti ferroviari e stradali est-ovest per connettere l’Umbria ai porti adriatici e tirrenici in tempi competitivi.
Digitalizzazione e innovazione per sostenere le filiere manifatturiere locali e attrarre investimenti tecnologici.
Bianchi ricorda inoltre il tema delle aree interne, dove il drammatico spopolamento si accompagna a un indebolimento dei servizi essenziali - dalla scuola alla sanità. “Senza una politica di riequilibrio e un investimento straordinario, queste zone rischiano un abbandono irreversibile”.
Per il direttore dello Svimez, la chiave sarà la cooperazione interregionale. “Umbria e Marche devono puntare su complementarità e non su competizione interna. Solo un modello di sviluppo integrato, basato su innovazione e valorizzazione delle vocazioni territoriali, potrà invertire il trend”.
La sfida è duplice: da un lato garantire che la ZES Unica non diventi solo un incentivo fiscale, ma uno strumento di politica industriale; dall’altro, evitare che le misure si disperdano in micro-interventi senza impatto sistemico.
Secondo Bianchi, serve un tavolo permanente di monitoraggio tra governo, regioni e rappresentanze produttive, capace di definire obiettivi misurabili e verificare l’efficacia delle misure nel tempo.
Per l’Umbria, l’ingresso nella ZES Unica rappresenta una svolta potenziale, ma anche un banco di prova. È la prova che la regione è ormai percepita come area in difficoltà - ma anche che esistono margini di rilancio se si interviene in modo strutturale.
Senza un progetto organico che combini incentivi, infrastrutture e politiche industriali mirate, il rischio è che la ZES resti un titolo di cronaca e non un reale strumento di rinascita. Con una strategia condivisa, invece, può diventare il punto di partenza per un nuovo ciclo di crescita.