Vittorio Sgarbi incassa un’altra assoluzione: dopo quella arrivata a Roma per l’acquisto all’asta di un’opera di Zecchin, anche il giudice dell’udienza preliminare di Perugia ha archiviato le accuse di diffamazione. L’annuncio arriva direttamente dal suo avvocato, Giampaolo Cicconi.

Vittorio Sgarbi, l’attacco a Laura Condemi e il caso “Falsi De Dominicis”

La vicenda riguardava le dichiarazioni rilasciate da Sgarbi nei confronti della pm Laura Condemi, che aveva in mano le indagini sul caso dei cosiddetti “Falsi De Dominicis”. La procura lo aveva imputato per diffamazione aggravata, puntando il dito contro i suoi commenti al vetriolo.

Oggi, però, il tribunale di Perugia ha deciso di non procedere ulteriormente. Secondo Cicconi, il giudice ha ritenuto le frasi pronunciate da Sgarbi insindacabili, ponendo fine a una disputa che rischiava di trascinarsi ancora a lungo. Una sentenza che, di fatto, chiude il capitolo senza lasciare margini per ulteriori sviluppi.

Il caso dei falsi De Dominicis: assoluzione e ombre sulla gestione delle opere

La vicenda dei falsi De Dominicis è un intrigo che si è sviluppato a partire dal 2018, quando le autorità hanno aperto un’indagine che ha coinvolto Vittorio Sgarbi e altri esponenti dell’arte. L’accusa? Aver autenticato opere attribuite a Gino De Dominicis ma ritenute contraffatte dal Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri. Durante l’inchiesta sono state sequestrate 250 opere per un valore complessivo di 30 milioni di euro. In questo contesto, la procura aveva individuato un laboratorio per la falsificazione a Fabriano, considerato il centro delle operazioni​.

Il punto di frattura risale al 2011, quando una disputa sull’autenticità delle opere di De Dominicis portò alla scissione dell’Associazione Gino De Dominicis in due gruppi distinti: l’Archivio De Dominicis, con sede a Foligno, e la Fondazione Archivio De Dominicis, presieduta da Vittorio Sgarbi e basata a Roma. La tensione tra le due entità si intensificò quando Paola Damiani, erede di De Dominicis, si oppose alla pubblicazione di alcune opere in un catalogo curato proprio da Sgarbi, dichiarandole false​.

La difesa di Sgarbi: accuse infondate e insindacabilità

Vittorio Sgarbi non ha mai accettato le accuse, definendo l’intera inchiesta come una “grottesca perdita di risorse” da parte dello Stato e negando l’esistenza stessa di falsari dedicati a De Dominicis. Le sue parole puntano il dito contro Italo Tomassoni, critico d’arte e cofondatore dell’Associazione, che avrebbe mosso le accuse per screditarlo. Nel frattempo, le indagini si sono concentrate su Marta Massaioli, vice presidente della Fondazione e indagata per il suo presunto ruolo nella gestione delle opere contraffatte​.

Nonostante l’intenso clamore mediatico, il tribunale ha prosciolto Sgarbi con la formula “il fatto non costituisce reato”, chiudendo almeno per lui questo capitolo giudiziario. Tuttavia, 19 persone sono ancora sotto processo per accuse legate alla presunta associazione a delinquere finalizzata alla contraffazione​.

Vittorio Sgarbi e l’opera di Zecchin: il gup di Roma chiude il caso

Vittorio Sgarbi ha affrontato un’inchiesta legata all’acquisto del dipinto Il giardino delle fate di Vittorio Zecchin, un’opera messa all’asta dalla casa Della Rocca. Secondo l’accusa, Sgarbi avrebbe usato il nome della compagna Sabrina Colle per intestare il quadro e sottrarlo a possibili pendenze fiscali. Un’ipotesi che il critico ha sempre rigettato fermamente, definendo la vicenda “inverosimile” e spiegando come il dipinto fosse stato donato da Corrado Sforza Fogliani, ex presidente di Confedilizia​.

Secondo la versione di Sgarbi, la sua compagna avrebbe partecipato all’asta e successivamente Sforza Fogliani, colpito dall’acquisto, avrebbe deciso di regalarle l’opera, notificata a suo nome. La questione, però, ha spinto la Procura di Roma a ipotizzare l’uso dell’asta come espediente per evitare responsabilità economiche.

Dopo un anno di indagini, il giudice dell’udienza preliminare ha prosciolto Sgarbi e Sabrina Colle dalle accuse, confermando che non vi era alcun fondamento nelle ipotesi mosse contro di loro. La sentenza ha rappresentato, per la difesa, un riconoscimento della correttezza della condotta del critico d’arte, che ha sempre sostenuto di non aver mai partecipato personalmente all’asta​.