28 Dec, 2025 - 11:00

Vita e morte dei microbi al termometro: lo studio Unipg consente applicazioni inei settori food, biotecnologie, cure oncologiche e spazio

 Vita e morte dei microbi al termometro: lo studio Unipg consente applicazioni inei settori food, biotecnologie, cure oncologiche e spazio

È un confine sottile, una linea di pochi gradi Celsius che separa la vita dalla morte per intere colonie di microrganismi. Una linea che ora la scienza ha iniziato a mappare con precisione, rivelando un meccanismo inaspettato e aprendo cassetti fino a oggi chiusi in campi che vanno dalla lotta al cancro alla sopravvivenza nello spazio. A tracciare questa mappa termica della vita è una ricerca internazionale coordinata dall’Università degli Studi di Perugia, pubblicata sulla rivista "Nature Communications". Lo studio, firmato dal gruppo del professor Alessandro Paciaroni del Dipartimento di Fisica e Geologia, non si limita a spiegare come vivono o muoiono i microbi in condizioni estreme: dimostra come piccole variazioni di temperatura possano innescare processi vitali o letali, offrendo chiavi di lettura preziose per progettare enzimi più resistenti, migliorare le strategie di conservazione alimentare e rendere più efficaci le terapie oncologiche basate sull’ipertermia. Un risultato che conferma il ruolo dell’ateneo perugino come punto di riferimento internazionale nella fisica della vita e nella ricerca interdisciplinare.

Il punto di non ritorno: quando il calore spegne la cellula prima del previsto

Aria ed energia pulita con i batteri | Il Bo Live

Per decenni, la comunità scientifica ha legato la morte termica di un microrganismo al danneggiamento irreversibile delle sue proteine, un processo noto come unfolding o denaturazione. Quando il calore è eccessivo, le proteine perdono la loro forma tridimensionale e, con essa, la loro funzione. Il team di Paciaroni, utilizzando sofisticate tecniche di spettroscopia neutronica presso l’Institut Laue-Langevin di Grenoble e simulazioni di dinamica molecolare, ha messo in discussione questo paradigma, almeno per una vasta categoria di esseri viventi.
I ricercatori hanno analizzato la mobilità dell’intero insieme proteico – il proteoma – in tre batteri adattati a climi opposti: il mesofilo Escherichia coli (temperatura ambiente), l’ipertermofilo Aquifex aeolicus (che prospera oltre i 75°C) e lo psicrofilo Psychrobacter arcticus, abitante dei ghiacci polari.

"Il risultato è stato sorprendente", spiega Alessandro Paciaroni. "In E. coli e A. aeolicus, la morte cellulare coincide effettivamente con l’inizio del danneggiamento termico delle proteine. Ma nel batterio polare, le cellule cessano di funzionare a temperature circa 20°C più basse rispetto a quelle in cui le proteine iniziano a perdere la loro forma. In pratica, muoiono molto prima che le loro proteine si denaturino".
La chiave sta nell’adattamento estremo. Per funzionare nel gelo perpetuo, gli enzimi dello Psychrobacter hanno evoluto una flessibilità molecolare superiore, un’agilità che permette loro di operare dove altri si bloccherebbero. Questo stesso vantaggio, tuttavia, si trasforma in un tallone d’Achille: un lieve rialzo termico destabilizza in modo critico questa dinamica interna, portando al collasso dell’intero sistema metabolico mentre le proteine sono ancora strutturalmente intatte. "È come se il motore di un’auto da rally, ottimizzato per le basse temperature dell’Artico, andasse in tilt per un surriscaldamento minimo, ancora prima che i pistoni fondano", aggiunge Paciaroni.

Dalle biotecnologie ai cambiamenti climatici: un ventaglio di applicazioni

La ridefinizione di questo meccanismo non è una semplice curiosità scientifica. Apre prospettive concrete in una costellazione di settori applicativi. Comprendere il punto esatto in cui il calore interrompe i processi cellulari permette di disegnare strategie di controllo microbiologico ultra-efficienti. "Nell’industria agroalimentare, per esempio, si potrebbero sviluppare protocolli di pastorizzazione o conservazione che usano temperature più basse ma più mirate, risparmiando energia e preservando meglio le qualità nutritive dei cibi", sottolinea Beatrice Caviglia, dottoranda Unipg che ha svolto un ruolo chiave negli esperimenti a Grenoble.
La stessa logica si applica alla progettazione di enzimi artificiali più robusti per le biotecnologie industriali, o alla comprensione degli effetti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi polari, dove un aumento di pochi gradi potrebbe eliminare specie microbiche fondamentali per gli equilibri ambientali.

La doppia frontiera: medicina oncologica e ricerca spaziale

Ma la frontiera più affascinante è forse quella medico-spaziale. In oncologia, la terapia con ipertermia cerca di distruggere selettivamente le cellule tumorali scaldandole. "Conoscere i meccanismi molecolari che portano al collasso funzionale per stress termico può aiutarci a ottimizzare questi trattamenti, rendendoli più precisi ed efficaci", osserva Paciaroni.
Infine, lo studio fornisce un nuovo strumento per la ricerca della vita oltre la Terra. Stabilire con maggiore accuratezza i limiti termici della vita e i suoi meccanismi di cedimento guida gli astrobiologi nella scelta dei target e nell’interpretazione dei dati, sia nelle zone più inospitali del nostro pianeta che nelle missioni su mondi come Marte o le lune ghiacciate del sistema solare. Una ricerca nata dalla fisica fondamentale, che dalla mappa termica di un microscopico abitante dei ghiacci, traccia rotte per il futuro della scienza e della tecnologia.

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Federico Zacaglioni
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