"Un rischio sistemico, come quello vissuto ai tempi del metanolo". Il mondo del vino italiano - e quello umbro in particolare - si sente sotto attacco.
Marco Caprai, produttore di riferimento del Sagrantino di Montefalco, parla senza mezzi termini di una “rivoluzione”, se davvero entreranno in vigore i dazi americani fino al 30% sul vino europeo. Al suo fianco, ma con un bersaglio diverso, Riccardo Cotarella, presidente nazionale di Assoenologi, che definisce “politicamente miope” la decisione della Commissione europea di finanziare con 15 milioni di euro la viticoltura sudafricana.
Un doppio fronte che rischia di mettere in ginocchio un intero comparto già provato da crisi strutturali, nuove regolamentazioni e un clima politico-economico tutt’altro che favorevole.
“Se dovesse finire così, o anche con un 10-20%, sarà comunque una rivoluzione, pari perlomeno a quella del metanolo, tanto per capirci”. Con queste parole Marco Caprai riassume il timore di centinaia di produttori italiani. I dazi minacciati dagli Stati Uniti - nella nuova fase muscolare dell’amministrazione trumpiana - potrebbero tradursi in un colpo fatale per l’export del vino europeo, con effetti diretti sulla sostenibilità economica e paesaggistica del settore.
“In Italia perderemo il 20-30% della superficie coltivata a vite, dovremo rivedere le rese per ettaro, perderemo la viticoltura come elemento paesaggistico e culturale, perderemo aziende ed occupati”, denuncia Caprai. Secondo l’imprenditore umbro, il contraccolpo non sarà solo commerciale, ma socioeconomico e identitario.
E se il mercato crolla, l’Europa dovrà intervenire. “Serviranno risorse per stoccaggi, estirpazioni, promozione. Ma assisteremo comunque a una terribile perdita di valore”. Un danno che, in regioni come l’Umbria, potrebbe spezzare un equilibrio costruito in decenni di alleanze e cooperazione.
Caprai non risparmia critiche ai negoziatori europei: “Due settimane fa l’Ue ha concesso zero tasse alle big tech americane. Si sperava in un accordo più ampio. E invece arriva una misura punitiva che equivale a un embargo”. Il sospetto è che qualcosa si sia rotto nei rapporti transatlantici, e che a pagarne il prezzo saranno i produttori europei.
Se il fronte atlantico scricchiola, quello interno all’Unione appare ancora più fragile. È Riccardo Cotarella, enologo umbro e presidente di Assoenologi, a puntare il dito contro la Commissione europea per la recente decisione di destinare 15 milioni di euro alla viticoltura sudafricana, in un momento in cui l’Europa del vino affronta una delle fasi più delicate degli ultimi decenni.
“Si tratta di un atto politicamente miope, economicamente ingiustificabile e moralmente lesivo della dignità del lavoro agricolo e della cultura del vino in Europa”, dichiara Cotarella, che non nasconde la propria amarezza per un’Europa percepita come distante dalle esigenze dei territori.
Le scelte di Bruxelles, secondo Cotarella, appaiono ancora più gravi se si considerano le pressioni normative che i produttori italiani stanno subendo. “Mentre si chiedono sacrifici enormi per nuove etichettature sanitarie che rischiano di criminalizzare il consumo consapevole del vino, Bruxelles investe su un potenziale concorrente globale”.
L’appello finale è duplice: alla Commissione europea affinché riveda le sue scelte e avvii un confronto serio con le rappresentanze del settore, ma anche al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, chiamato a farsi portavoce delle istanze italiane in sede europea.
“Il vino non è solo economia, ma storia, cultura, paesaggio, identità - conclude Cotarella - e non possiamo permettere che venga trattato come una merce qualsiasi”.
In gioco non c’è solo un export da proteggere, ma una civiltà da difendere. E l’Umbria, cuore silenzioso del vino italiano, non resterà a guardare.