C'è un filo tenace e profumato che lega Gubbio a San Paolo del Brasile. Non è fatto di seta o d'acciaio, ma di memoria, di sapori, di identità. A tessere questo filo è Sauro Scarabotta, chef eugubino trapiantato da anni nel cuore del Sudamerica, ma sempre legato alla sua terra d’origine con la fedeltà di chi sa da dove viene e cosa vuole raccontare.
Nel 2024, Tag24 aveva già dedicato a lui un articolo incentrato sul piatto simbolo del suo percorso umano e professionale: il friccò, antica pietanza umbra che Scarabotta ha elevato a manifesto culturale aprendo a San Paolo il ristorante omonimo, un angolo di Umbria nel cuore brasiliano. Il friccò, con la sua mescolanza di carni, aromi e lunghe cotture, è diventato per Scarabotta più di un piatto: è un racconto.
Ed è proprio un racconto quello che Scarabotta ha deciso di far vivere in Umbria, portando con sé 18 turisti brasiliani, clienti affezionati del suo ristorante, per un viaggio di 7 giorni che ha avuto in Gubbio il suo cuore pulsante, ma che ha toccato anche Perugia, Assisi, Orvieto, il lago Trasimeno, la Cascata delle Marmore e il lago di Piediluco.
I primi due giorni sono stati interamente dedicati a Gubbio, la città natale di Sauro. I visitatori brasiliani hanno potuto apprezzare la bellezza della città romana e medievale, camminando tra vie di pietra, salendo in funivia sul Monte Ingino, partecipando a una lezione di cucina, visitando botteghe di artigiani ceramisti e scalpellini, per scoprire come la mano dell'uomo continui a plasmare con passione la materia.
Indimenticabile anche la degustazione di vini a Castel d’Alfiolo e la caccia al tartufo, momenti che hanno reso tangibile il legame tra territorio, cucina e identità.
Uno dei passaggi più emozionanti è stato l’incontro con i Serenologhi, custodi del repertorio musicale della tradizione eugubina, che hanno aperto il loro album di brani inediti e antichi, offrendo ai visitatori un’esperienza sonora unica e profondamente locale.
Dopo Gubbio, il gruppo si è spostato alla scoperta delle altre meraviglie dell’Umbria. A Perugia, capitale regionale, arte e storia si sono intrecciate con l’aroma del cioccolato e la grande architettura.
Assisi, la città di San Francesco, ha commosso molti dei partecipanti, molti dei quali cattolici devoti: le basiliche, le pietre rosate, l’atmosfera sospesa tra silenzio e sacralità hanno lasciato un segno profondo.
A Orvieto, è stato il gotico del Duomo e la meraviglia del pozzo di San Patrizio a impressionare gli ospiti, mentre il lago Trasimeno, con i suoi borghi e le atmosfere rilassate, ha offerto un contrappunto dolce e panoramico. Non sono mancati gli scorci mozzafiato della Cascata delle Marmore e il verde tranquillo del lago di Piediluco.
L’iniziativa di Scarabotta non è stata solo un viaggio turistico. È stata una missione culturale, affettiva, educativa. In un mondo dove tutto sembra omologarsi, riportare all’esperienza viva un gruppo di stranieri, attraverso i sensi e le emozioni, è un atto quasi profetico.
In molti, durante il soggiorno, hanno detto di sentirsi "a casa", pur essendo a migliaia di chilometri dalla propria. Merito dell’ospitalità umbra, certo. Ma soprattutto, merito di un cuoco che non ha mai smesso di essere anche un narratore.
Dopo 25 anni, Sauro Scarabotta è tornato a Gubbio per vivere la Festa dei Ceri, la celebrazione più intensa e identitaria della città. Non è stato un ritorno nostalgico, ma una riappropriazione viva delle radici, in un momento in cui la città esplode di colori, voci e fede.
I suoi ospiti brasiliani, pur non comprendendo tutto del rito, ne hanno percepito la potenza simbolica, la coralità, la sacralità. È bastato poco per capire che quella non era solo una festa: era una forma di appartenenza incarnata.
Il successo dell’iniziativa ha già acceso il desiderio di ripeterla. Scarabotta sta già pensando a una nuova edizione, magari più lunga, più strutturata, con un focus ancor più forte sull’esperienza gastronomica e artigianale umbra. E non solo per brasiliani: l’obiettivo è far dialogare i territori, accorciare le distanze, far viaggiare le identità senza perderle.
In un mondo dove i cuochi diventano star televisive, Scarabotta è rimasto fedele alla sua idea: la cucina come lingua della memoria. E oggi quella lingua ha parlato in portoghese, ma con accento eugubino.