Preparatevi a intraprendere un viaggio che vi condurrà nel cuore più profondo e autentico dell’Umbria, una terra che sa custodire la sua storia come un tesoro prezioso. Vi guideremo lungo un itinerario dove arte e memoria si intrecciano, dando vita a un racconto scolpito nella pietra, capace di attraversare i secoli e giungere fino a voi. Incontrerete le statue più antiche di questa regione, vere e proprie sentinelle del tempo, che hanno vegliato su riti, miti e tradizioni ormai lontane. Le scoprirete immerse nei luoghi che le hanno viste nascere e resistere: piazze intrise di storia, musei che profumano di antichità, siti archeologici che ancora oggi vibrano del respiro delle civiltà che li hanno abitati.
Questo non sarà soltanto un semplice viaggio tra capolavori scultorei: sarà un invito a riscoprire le radici di un popolo, a lasciarvi avvolgere dalla bellezza che sopravvive al tempo e a percepire, camminando tra epoche e leggende, il legame indissolubile che unisce l’Umbria al suo inestimabile patrimonio storico e culturale.
Nel cuore dell’Umbria antica, il Mars di Todi si erge come un silenzioso custode di oltre due millenni di storia. Questo guerriero in bronzo, quasi a grandezza naturale, risale alla fine del V e all’inizio del IV secolo a.C. e fu rinvenuto nel 1835 sulla collina di Montesanto, nei pressi di Todi. Sepolto sotto lastre di travertino - forse a causa di un fulmine - il suo corpo è rimasto intatto fino al giorno del ritrovamento.
Non si tratta di un guerriero qualunque, ma di un’offerta votiva d’eccellenza, forse dedicata a Laran, il dio etrusco della guerra. La silhouette elegante e la tecnica avanzata con cui è realizzato riflettono un equilibrio tra arte e funzione: il corpo, in contrapposto, esprime un realismo sobrio e raffinato, mentre l’armatura, curata nei minimi dettagli, è un raro esempio di corazza lamellare dell’epoca.
Sulla placca toracica, ancora oggi leggibile, si trova l’iscrizione in lingua umbra con caratteri etruschi: "Ahal Trutitis dunum dede" - “Ahal Trutitis ha donato (questa statua)”. Questa iscrizione non è solo un nome, ma un ponte tra culture: un ricordo tangibile di come la spiritualità e l’arte si fondessero in un Umbria aperta agli scambi e alle influenze del Mediterraneo antico.
Oggi il Mars di Todi riposa nel Museo Gregoriano Etrusco dei Musei Vaticani, dove continua a parlare ai visitatori con la stessa forza silenziosa. Ammirarlo significa immergersi in un mondo antico, percepire il respiro delle civiltà che hanno plasmato l’Umbria e comprendere come l’arte possa trasformare il bronzo in memoria vivente. Ogni volta che lo si osserva, il guerriero sembra ancora vegliare sul territorio che lo ha visto nascere, invitandoci a scoprire la storia nascosta tra le pieghe del tempo.
Tra le valli e le alture dei Monti Sibillini, a nord di Norcia, si trovano le statue votive di Forca, silenziosi custodi di un mondo antico, dove il sacro e la quotidianità si intrecciavano in riti di devozione. Questi piccoli guerrieri in bronzo, risalenti al V-III secolo a.C., furono rinvenuti in un santuario situato a circa 1.200 metri di altitudine, lungo un’antica via di comunicazione tra l’Umbria e la Sabina.
Le statuette raffigurano figure maschili in pose solenni, con dettagli stilizzati che evocano forza, protezione e devozione. Probabilmente destinate a divinità guerriere o protettrici, queste offerte votive rivelano una spiritualità antica, fatta di gesti concreti e simbolici, dove l’arte diventa ponte tra uomo e divino. Ogni guerriero in bronzo racconta un rito, un desiderio espresso e un legame con forze superiori, testimoniando l’ingegno e la cura dei popoli che li crearono. Il santuario di Forca d’Ancarano, con i suoi terrazzamenti e il sacello templare, ospitava non solo queste statue, ma anche altre offerte come fibule, utensili in ferro e ceramiche, creando un mosaico culturale e religioso di straordinaria ricchezza. Gli scavi hanno restituito un’immagine vivida di una comunità che cercava protezione e favori divini attraverso l’arte e il rito.
Oggi le statue votive sono conservate nella Sala dei Bronzi del Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria a Perugia. Osservandole, ci si sente trasportati in un tempo lontano, in cui la devozione e l’ingegno umano si incontravano in ogni dettaglio di bronzo, raccontando storie di fede, coraggio e identità culturale che risuonano ancora nel silenzio dei secoli.
Nel cuore dell'Umbria, a pochi chilometri da Perugia, si trova Pila, una frazione che custodisce una delle testimonianze più affascinanti dell'antica civiltà etrusca: l'Arringatore. Questa statua in bronzo, alta circa 1,79 metri, raffigura un uomo togato nell’atto di arringare la folla. Realizzata tra la fine del II e l’inizio del I secolo a.C., l’opera è una delle rare testimonianze etrusche in metallo giunte intatte fino a noi.
La statua fu rinvenuta nel 1566 a Pila, come attestato da documenti d'archivio recentemente riscoperti. Inizialmente, la sua provenienza era stata attribuita a Sanguineto, frazione di Tuoro sul Trasimeno, ma studi più recenti hanno confermato senza dubbio il ritrovamento a Pila. L'Arringatore fu acquistato dal nobile fiorentino Giulio Danti e successivamente donato al Gran Duca di Toscana Cosimo I de' Medici, che lo portò a Firenze, dove è tuttora conservato nel Museo Archeologico Nazionale.
L'opera rappresenta Aulo Metello (Aulus Metellus), un membro della famiglia aristocratica etrusca dei Metelli, originario di Perugia o Cortona. Sulla toga della statua è incisa un'iscrizione in etrusco che recita: "Aulo Metello figlio di Vel e di Vesi, l'assemblea eresse questa statua", indicando che l'opera fu dedicata pubblicamente in onore di questo personaggio. La scelta di rappresentarlo in atto di arringare suggerisce il suo ruolo di magistrato od oratore, impegnato a guidare la comunità con autorità e saggezza.
L'Arringatore si distingue per il suo realismo veristico, tipico dell'arte etrusca tardo-repubblicana. La postura eretta, il braccio destro teso in avanti con il palmo aperto e il volto segnato dalla senilità, conferiscono all'opera una straordinaria espressività. Il panneggio della toga, modellato con maestria, aggiunge dinamicità alla figura, mentre la tecnica della fusione a cera persa, utilizzata per realizzare la statua in sette parti distinte, evidenzia l'elevato livello di competenza artigianale raggiunto dagli etruschi.