L’Umbria si trova in una situazione preoccupante dal punto di vista economico e demografico. L’ultima analisi della Cgia di Mestre ha evidenziato come nella regione ci siano più pensionati che lavoratori attivi. Questo squilibrio, che mette l’Umbria in una posizione simile a quella delle regioni del Sud Italia, solleva importanti questioni sul futuro del sistema previdenziale e fiscale italiano.

La situazione umbra rappresenta un chiaro esempio di una crisi che, se non affrontata, rischia di compromettere il futuro economico dell’intero Paese. Se non si interviene prontamente per migliorare i tassi di occupazione e combattere il lavoro nero, l’Italia potrebbe trovarsi di fronte a un collasso del proprio sistema previdenziale. È necessario, dunque, che le istituzioni, a livello locale e nazionale, agiscano con decisione per invertire la rotta e garantire un futuro sostenibile.

Umbria: poco lavoro, molti pensionati

Secondo i dati pubblicati dalla Cgia di Mestre, in Umbria vengono erogate circa 401.000 pensioni a fronte di 352.000 salari, con un saldo negativo di circa 48.000 persone. Questo significa che il numero di persone che ricevono una pensione supera di molto quello dei lavoratori attivi. La situazione è peggiorata rispetto all’ultimo report del dicembre 2022, quando il saldo negativo era di 47.000. La tendenza, quindi, è in crescita e sembra destinata a peggiorare ulteriormente.

A livello nazionale, l’Umbria si colloca al 15esimo posto tra le regioni italiane con il peggior saldo tra pensionati e lavoratori. Le uniche regioni con un divario maggiore sono Sardegna, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Tuttavia, anche le province umbre non se la passano meglio: Perugia è al 93esimo posto a livello nazionale, con un saldo negativo di 26.000 stipendi, mentre Terni è all’89esimo con un saldo di -22.000.

La classifica delle regioni: Umbria tra le peggiori

L’Umbria non è la sola a vivere questa crisi demografica ed economica. In cima alla classifica delle regioni più virtuose si trova la Lombardia, che registra un saldo positivo di +733.000 stipendiati rispetto ai pensionati. Seguono Veneto (+342.000) e Lazio (+310.000). Al contrario, le regioni del Mezzogiorno, come Sicilia (-303.000), Puglia (-227.000) e Calabria (-226.000), rappresentano le aree più colpite dalla predominanza di pensionati rispetto ai lavoratori.

Cosa prevede il futuro

Le previsioni per il futuro non sono incoraggianti. La Cgia di Mestre segnala che la situazione è destinata a peggiorare in tutta Italia, anche nelle regioni più avanzate economicamente. Secondo uno studio di Unioncamere, entro il 2028, circa 2,9 milioni di italiani usciranno dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età, di cui 2,1 milioni risiedono nelle regioni del Centro-Nord. Il rapporto afferma che sarà molto difficile sostituire tutti questi lavoratori, data la crisi demografica in atto.

Nel rapporto, infatti, si legge: “Secondo la previsione di Unioncamere elaborata nel marzo scorso, entro il 2028 sono destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età 2,9 milioni di italiani, di cui 2,1 milioni sono attualmente occupati nelle regioni centro-settentrionali. A fronte della grave crisi demografica in atto difficilmente riusciremo a rimpiazzare tutti questi lavoratori”.

Lavoratori e pensionati in Umbria: una tendenza da invertire

Il segretario della Cgia di Mestre, Renato Mason, ha lanciato un forte monito sul futuro dei conti pubblici italiani. In base al dato allarmante del rapporto, infatti, ha spiegato: “Con tanti pensionati e pochi operai e impiegati, la spesa pubblica non potrà che aumentare, mentre le entrate fiscali sono destinate a scendere. Questo trend, nel giro di pochi anni, minerà l’equilibrio dei nostri conti pubblici”. Per affrontare questa crisi, secondo Mason, è necessario aumentare la platea degli occupati, facendo emergere il lavoro nero e migliorando i tassi di occupazione tra giovani e donne, che in Italia rimangono tra i più bassi d’Europa.