31 Mar, 2025 - 16:30

Umbria, più longevi ma sempre meno: i numeri che raccontano una regione che invecchia

Umbria, più longevi ma sempre meno: i numeri che raccontano una regione che invecchia

Nel 2024 l'Istat fotografa un’Umbria che resiste, almeno sul fronte della longevità. Le donne umbre restano le più longeve del Centro Italia: 85,9 anni. Gli uomini accorciano le distanze, guadagnando mezzo anno rispetto al 2023 e toccando quota 82. Non è solo una questione anagrafica, ma un indizio di resistenza. Perché vivere a lungo in una regione che invecchia non è scontato, soprattutto quando i presidi sanitari si diradano e i borghi perdono i servizi essenziali.

Dietro i numeri ci sono le madri che partoriscono sempre più tardi, le culle che restano vuote e un welfare che prova a tenere il passo. Ci sono leggi regionali che promettono incentivi, paesi dove le saracinesche non si alzano più, e un futuro che rischia di assottigliarsi, come la popolazione. L’Umbria è davanti a una trasformazione lenta ma inesorabile. E ogni dato, se letto bene, racconta una pagina di questa storia.

Natalità in calo e aumento della mortalità in umbria

Il numero medio di figli per donna si arresta a 1,11. Un dato che replica quello dell'anno precedente e conferma il lento scivolamento iniziato nel 2022, quando si contavano 1,13 figli per donna. L'età media al momento del parto sfiora i 33 anni, più precisamente 32,8.

Con un tasso di natalità fermo al 5,5 per mille e una mortalità che sale al 12,4, il calo naturale della popolazione assume la forma di una ritirata silenziosa.

Per arginare la deriva, nel settembre scorso Palazzo Donini ha varato una legge organica a favore delle famiglie. Una legge costruita con 30 milioni di euro spalmati su tre anni, e pensata per dare fiato alle categorie più fragili e a quelle che portano il peso della programmazione familiare sulle spalle. C'è un bonus da 1.200 euro per ogni neonato registrato nel 2024. Ci sono fondi per facilitare l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie: 1,8 milioni destinati a chi cerca stabilità e futuro dentro i confini regionali, invece di cercarli altrove.

La novità più rilevante è però l'introduzione del "fattore famiglia", una formula che affianca l'ISEE tradizionale e ne amplia la portata. Considera non solo il reddito, ma anche la struttura del nucleo, il numero di figli, la presenza di disabilità. Una fotografia più fedele delle realtà domestiche, spesso troppo complesse per essere ridotte a un indicatore economico.

Evoluzione demografica umbra: dati e cambiamenti in vent’anni

In vent'anni la mappa anagrafica dell'Umbria ha subito una metamorfosi silenziosa ma profonda. I bambini e i ragazzi sotto i 14 anni sono passati dal 12,3% all'11,3%, mentre la fascia tra i 15 e i 64 anni si è assottigliata dal 64,5% al 61,7%. A fare da contrappeso è l'impennata degli over 65, che oggi rappresentano il 27% della popolazione contro il 23,1% del 2004. L'età media è salita fino a toccare i 48,2 anni. Un sorpasso silenzioso, che cambia gli equilibri della vita quotidiana: nelle scuole con classi sempre più vuote, nei distretti sanitari che faticano a reggere l'urto dell'invecchiamento, nei trasporti pensati per spostare persone in età attiva che oggi sono sempre meno.

E intanto, nei comuni più piccoli, l'eco dei passeggini ha lasciato spazio al silenzio delle finestre chiuse.

Previsioni demografiche umbria: gli effetti sull’economia regionale

Se nulla cambia, l’Umbria rischia di svuotarsi lentamente. Entro il 2042 potrebbero mancare all’appello oltre 65.000 residenti. Ma a preoccupare è il crollo della fascia in età lavorativa: 101.000 persone in meno nel giro di vent’anni. Uno scivolamento che non riguarda solo i numeri anagrafici, ma incide sulle colonne portanti dell’economia. La stima, tutt’altro che ottimista, parla di una possibile perdita del 19% del prodotto interno lordo entro il 2045. E si spinge oltre: -30% al 2062.

Non è un allarme messo nero su bianco da qualche centro studi con la penna facile. È una tendenza che si traduce in bilanci sempre più magri per comuni, scuole, ospedali. Meno giovani significa meno consumi, meno tasse, meno linfa per far girare il motore pubblico. Una spirale lenta, ma ostinata. E difficile da interrompere.

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Francesca Secci
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