Ci sono numeri che sembrano innocui, e invece cambiano il destino di un territorio. In Umbria, dal 2014 al 2025, sono sparite oltre 40mila persone. Non si tratta di una svista anagrafica, ma di un lento e costante stillicidio che ha svuotato scuole, ridotto nascite, fatto chiudere negozi, desertificato interi paesi. Una perdita di popolazione pari a una città come Città di Castello. Ma senza clamore, senza notizie in prima pagina.
A raccontarlo è l'ultimo dossier pubblicato da Agenzia Umbria Ricerche, che fotografa vent'anni di trasformazioni demografiche. Il dato più evidente è il calo della popolazione: dal massimo storico del 2013 con 892.742 abitanti, si è passati ai 851.954 residenti del 1° gennaio 2025. Un saldo negativo di oltre 40mila persone, con un'accelerazione tra il 2015 e il 2022, quando la curva ha toccato il picco del -7,7 per mille.
A spingere verso il basso la demografia umbra sono soprattutto due fattori: il crollo delle nascite e l'invecchiamento. Nel 2008, le nascite erano ancora sopra quota 8.200. Nel 2022, il dato si è fermato a 4.926. Meno bambini, meno giovani, meno futuro. Parallelamente, gli over 65 sono diventati il 27% della popolazione, contro il 23% di vent'anni fa. Un cambiamento silenzioso, che modifica il volto delle comunità: meno asili, più RSA.
Eppure, in mezzo a questo quadro in chiaroscuro, c'è una linea che non si spezza. Anzi, tiene in piedi l'equilibrio: il saldo migratorio. Dal 2002 a oggi, l'immigrazione dall'estero ha costantemente superato l'emigrazione, con un'unica eccezione nel 2015. In alcuni anni, come il 2007 e il 2008, il saldo positivo ha superato le 10mila unità. Più di recente, tra il 2022 e il 2024, i flussi in ingresso hanno ripreso quota: +4.054 nel 2022, +4.214 nel 2023, +4.088 nel 2024. Numeri che, senza essere eclatanti, hanno impedito un crollo più drammatico.
Anche sul fronte interno, l'Umbria continua ad attrarre. Il saldo migratorio con il resto d'Italia è quasi sempre positivo, anche se con intensità minore e alcune oscillazioni: nel 2023, ad esempio, il bilancio è stato negativo (-272), mentre nel 2024 torna positivo (+632). Non si tratta di migrazioni di massa, ma di un flusso costante di persone che scelgono l'Umbria per la qualità della vita, la dimensione contenuta dei centri abitati, l'accessibilità.
Chi sono questi nuovi arrivati? Non è una domanda facile. Ma il profilo medio parla di famiglie giovani, cittadini stranieri alla ricerca di stabilità, ma anche italiani in fuga dalle metropoli. Sono loro a mantenere vivi i borghi, a riempire le scuole, a dare ossigeno all'economia locale. In molti comuni, senza di loro, la popolazione sarebbe già sotto la soglia di sopravvivenza dei servizi.
È un equilibrio fragile, certo. Perché se i flussi si riducono, o se l'accoglienza non è all'altezza, il rischio è di tornare a perdere terreno. Ma è anche una possibilità concreta. Con politiche intelligenti, orientate all'integrazione e alla valorizzazione delle risorse locali, l'Umbria potrebbe trasformare la pressione migratoria in un vantaggio competitivo. Non solo per tamponare l'inverno demografico, ma per rilanciare interi territori.
Negli ultimi tre anni, segnali deboli di stabilizzazione iniziano a farsi vedere: il calo demografico rallenta, il saldo migratorio estero risale. Non è una rivoluzione, ma una tregua. Se il trend si consolidasse, la regione potrebbe finalmente uscire dalla lunga fase discendente iniziata nel 2014.
La demografia non è mai neutra. Determina la tenuta del welfare, l'equilibrio generazionale, il futuro delle comunità. In Umbria, oggi, è come se si stesse camminando su un crinale: da una parte il rischio dello spopolamento, dall'altra la possibilità di ricostruire a partire da chi sceglie di arrivare. Ma per restare in piedi, serve smettere di trattare l'immigrazione come un capitolo a parte. È già parte della soluzione. E forse, l'unica rimasta.