08 Jul, 2025 - 14:00

Umbria, il paradosso del lavoro: più laureati, meno opportunità. Il nodo del disallineamento è questione non solo femminile

Umbria, il paradosso del lavoro: più laureati, meno opportunità. Il nodo del disallineamento è questione non solo femminile

“In Umbria crescono i laureati, ma il sistema produttivo non è pronto a valorizzarli”. È questo il cuore del nuovo studio curato da Elisabetta Tondini, responsabile dell’Area “Processi e trasformazioni economiche e sociali” di Agenzia Umbria Ricerche. Un’analisi impietosa e puntuale, che fotografa una delle contraddizioni più evidenti del mercato del lavoro regionale: l’offerta di personale altamente istruito aumenta più rapidamente della capacità delle imprese di assorbirla in modo coerente. E non si tratta soltanto di una questione femminile, pur se le donne restano protagoniste di questa trasformazione.

Il lavoro c’è, ma non per chi ha studiato di più: l’Umbria e il paradosso della sovraistruzione

Negli ultimi sei anni, 20mila dei 24mila nuovi occupati umbri sono laureati. Un boom che porta al 55,9% la quota di donne tra gli occupati con titolo terziario e al 33,7% la percentuale di occupate con almeno una laurea. Eppure, il 36,9% delle donne occupate si trova a svolgere un lavoro per il quale è sovraistruita: un record negativo tra le regioni italiane. Per gli uomini, la percentuale è più bassa (29,3%) ma comunque sopra la media.

Una crescita quantitativa, dunque, che non corrisponde a un miglioramento qualitativo del mercato del lavoro: aumentano i contratti a termine e il part-time, quest’ultimo spesso frutto di esigenze di conciliazione più che di scelte autonome. Il risultato è un mercato in cui l’istruzione non sempre garantisce valorizzazione, stabilità e prospettive.

“L’Umbria si distingue per il tasso di crescita dell’occupazione femminile laureata - spiega Tondini - ma non riesce ancora a offrire un sistema capace di premiare il capitale umano accumulato”.

Imprese umbre a corto di profili: oltre metà delle posizioni restano scoperte

Nonostante l’abbondanza di persone formate, le imprese umbre dichiarano di avere difficoltà a reperire il 54,5% dei profili di cui hanno bisogno. Una cifra superiore alla media nazionale (47%), che racconta un’altra faccia dello stesso problema: un’offerta formativa che non incontra le reali esigenze del tessuto produttivo.

Secondo i dati Excelsior di maggio 2025, solo il 9% delle posizioni aperte dalle imprese umbre è destinato a laureati, contro l’11% della media italiana. La struttura economica regionale, in prevalenza orientata su settori a bassa intensità di conoscenza, fatica a generare percorsi professionali coerenti con le competenze più avanzate.

“Non basta avere persone formate - prosegue la responsabile dell’Area “Processi e trasformazioni economiche e sociali” di AUR - bisogna creare le condizioni per trattenerle e valorizzarle”. È qui che il sistema regionale mostra la sua fragilità: formazione e lavoro viaggiano su binari troppo spesso divergenti, generando una perdita secca di capitale umano e un rallentamento dello sviluppo.

La laurea aiuta, ma non risolve: l’occupazione femminile resta precaria

Se è vero che la laurea rappresenta una leva decisiva per l’occupabilità femminile, è altrettanto vero che il divario di genere persiste. La forbice tra occupazione maschile e femminile nella fascia 20-64 anni si riduce da 26,5 punti (tra diplomati) a 8,5 (tra laureati), ma resta più ampia rispetto ad altre aree del Centro-Nord.

Inoltre, le caratteristiche contrattuali penalizzano ancora le donne: più part-time, più precarietà, più scarsa valorizzazione. L’incremento dell’occupazione femminile, dunque, appare come un processo quantitativo più che qualitativo. Aumenta la partecipazione, ma non si riducono in modo strutturale le asimmetrie.

Disallineamento strutturale: un ostacolo che rallenta l’intero sistema regionale

Il fenomeno della sovraistruzione, spiegano dall’AUR, va letto come un segnale di inefficienza sistemica. Non solo per i costi individuali in termini di mancata soddisfazione o di reddito, ma anche per le ripercussioni collettive: uno spreco di capitale umano che pesa sulla competitività del territorio.

“Il disallineamento tra aspettative individuali e realtà del mercato - conclude Tondini - è un nodo cruciale che va affrontato non solo riformando la formazione, ma anche ripensando l’intero ecosistema produttivo”.

Per l’Umbria, dunque, la sfida non è solo quella di formare di più, ma di formare meglio e soprattutto creare lavoro di qualità. Solo così sarà possibile colmare la frattura tra capitale umano e sistema economico, e trasformare l’attuale paradosso in una leva per lo sviluppo.

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Federico Zacaglioni
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