L’Umbria custodisce da secoli un tesoro prezioso fatto di colline soleggiate, microclimi favorevoli e una tradizione vitivinicola che affonda le sue radici ai tempi degli Etruschi. Oggi, questa vocazione antica si traduce in una superficie coltivata a uva da vino di 12.300 ettari, pari all’1,9% del totale nazionale. È quanto emerge dal focus Censis-Confcooperative “L’Italia del vino: superfici, costi ed export” pubblicato nel 2024, che restituisce una fotografia dettagliata del comparto.
Nel confronto con le regioni leader del settore vitivinicolo italiano, l’Umbria gioca un ruolo di nicchia. Con una produzione complessiva di 649.600 ettolitri di vino — pari all’1,4% del totale nazionale — la regione si colloca nella parte bassa della classifica, ben lontana dai colossi come il Veneto, che con 10,7 milioni di ettolitri rappresenta il 22,3% della produzione italiana. Seguono Puglia (14%) e Sicilia (17,8%) per estensione, ma anche per capacità produttiva.
Se si considera la resa media per ettaro, l’Umbria mostra un'ottima efficienza: 52,8 ettolitri per ettaro, un valore in linea con la media nazionale e indice di una viticoltura attenta alla qualità. Non si tratta dunque di volumi impressionanti, ma di una produzione che punta sull’identità territoriale e sull’eccellenza enologica.
La superficie agricola complessiva destinata alla vite in Italia si aggira sui 693mila ettari, con una crescita del 3,4% negli ultimi cinque anni. Le colline si confermano l’habitat naturale del vino italiano, ospitando il 55,5% della superficie vitata nazionale. L’Umbria, con il suo paesaggio tipicamente collinare, si inserisce perfettamente in questa tendenza, rafforzando la connessione tra territorio e qualità del prodotto.
Nel dettaglio, la Toscana dispone di oltre 52mila ettari destinati alla viticoltura, pari al 7,9% del totale italiano, seguita dall’Emilia-Romagna (7,6%) e dal Piemonte (5,9%). L’Umbria, con i suoi 12.300 ettari, si posiziona sotto regioni come Marche, Trentino-Alto Adige e Lazio. Un dato che, seppur modesto, non deve essere letto solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi: molti dei vitigni umbri, infatti, sono autoctoni e ad alta vocazione territoriale.
La viticoltura umbra ha radici antiche: già gli Etruschi coltivavano la vite nei terreni collinari della regione, e i Romani ne esaltavano le qualità. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Umbria ha iniziato un processo di emancipazione enologica dalla Toscana e dal Lazio, affermando un’identità produttiva autonoma. Gli anni Ottanta segnano una svolta importante, soprattutto nell’area di Orvieto, con la valorizzazione del Grechetto e la sperimentazione dello Chardonnay, che contribuiranno a elevare il profilo qualitativo dei vini umbri.
Negli anni Novanta, l’evoluzione continua: il settore si professionalizza, i produttori investono nella riscoperta dei vitigni autoctoni e nella qualità enologica. Questa direzione è oggi confermata da numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali che premiano i vini umbri per struttura, eleganza e identità.
Il simbolo della viticoltura regionale è senza dubbio il Sagrantino di Montefalco, un vitigno potente, tannico, capace di lunghissimi affinamenti e dal forte legame identitario con il territorio. Il Sangiovese, coltivato soprattutto nella zona di Torgiano, rappresenta un altro pilastro della produzione umbra, dando vini di buona struttura e note aromatiche evolutive.
Tra i vitigni rossi spiccano anche il Ciliegiolo, il Canaiolo Nero, il Montepulciano e internazionali come Merlot e Cabernet Sauvignon. Sul fronte dei bianchi, il Grechetto è l’emblema della regione, presente sia nella varietà di Todi — ideale per vendemmie tardive e passiti — sia in quella di Orvieto, più profumata e acida.
Il Trebbiano Spoletino è un altro vitigno in ascesa, molto apprezzato per i suoi sentori agrumati e la sua versatilità. A questi si aggiungono la Malvasia Bianca, il Verdello, il Chardonnay e il Sauvignon, utilizzati spesso in uvaggi per dare equilibrio e freschezza ai vini bianchi umbri.