In Umbria, i consultori familiari rappresentano un presidio fondamentale per la salute delle donne, e la regione si distingue a livello nazionale per aver rispettato lo standard previsto dalla legge: un consultorio ogni 20.000 abitanti. Questo dato pone l’Umbria tra le poche regioni italiane che possono vantare una copertura adeguata, insieme a realtà come la Valle d’Aosta e la Provincia autonoma di Bolzano. Tuttavia, anche in un contesto positivo come quello umbro, ci sono ancora margini di miglioramento per garantire un accesso sempre più capillare e facilitato ai servizi offerti da questi centri.

Umbria, consultori e aborto farmacologico: la situazione tra speranze e ritardi

L’Umbria ha mostrato buona volontà nell’adeguarsi alle nuove direttive sull’aborto farmacologico, con l’apertura di strutture ambulatoriali e consultori in cui è possibile accedere a questo servizio. Ma nonostante gli sforzi regionali, resta ancora molto da fare. Le nuove norme del 2020 hanno allungato i tempi per l’aborto farmacologico e consentito l’intervento anche in ambulatorio. In molte regioni italiane l’applicazione è stata lenta e frammentaria. Mentre alcune regioni come la Toscana e il Lazio si sono mosse in fretta, altre continuano a restare indietro, lasciando molte donne senza un’opzione reale.

Anche se l’Umbria sembra rispettare i numeri, il quadro nazionale dei consultori è desolante. La legge a riguardo è chiara: un consultorio ogni 20.000 abitanti. Eppure, in Italia, ce n’è in media uno ogni 30.000. Con questi numeri, il sistema non può che essere al collasso. Poche regioni, tra cui la nostra, possono dire di avere la situazione sotto controllo. Ma la domanda è: basta questo per garantire alle donne un accesso sicuro e informato ai servizi di salute riproduttiva?

La riduzione delle interruzioni volontarie di gravidanza: dietro ai numeri

In Umbria, come nel resto d’Italia, l’attività sessuale tra i giovani sta assumendo nuove dimensioni. Si comincia sempre prima e con un numero maggiore di partner. Questo cambiamento, unito alla tendenza a posticipare la maternità, pone le donne di fronte alla sfida di gestire oltre un decennio di vita fertile, cercando di evitare gravidanze indesiderate.

C’è un dato che potrebbe trarre in inganno: la diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza. Dal 1980 al 2022, il numero è crollato del 68%. Un risultato che potrebbe sembrare positivo, se non fosse che nasconde una realtà più complessa. L’aborto, sempre più raro, è ormai visto come un’ultima spiaggia. Ma se l’accesso ai servizi è così difficile, è davvero una scelta o piuttosto una mancanza di alternative?

L’obiezione di coscienza resta un problema serio in molte parti del Paese. Anche se il numero di medici obiettori è in calo, con il 63,4% nel 2021, la realtà è che in molte regioni, soprattutto al Centro e al Sud, trovare un ginecologo disposto a praticare un aborto è una vera e propria corsa ad ostacoli. Il risultato è quello di un carico di lavoro insostenibile per i pochi medici non obiettori e un servizio che, nonostante la legge, rischia di diventare inaccessibile.

Negli ultimi anni, l’uso della pillola del giorno dopo ha registrato un vero e proprio boom, grazie anche alla rimozione dell’obbligo di prescrizione. Tra il 2015 e il 2018, le vendite sono aumentate del 79%. Un segnale che le donne italiane sono sempre più attente alla prevenzione delle gravidanze indesiderate.

L’aumento dell’uso della contraccezione d’emergenza

Parallelamente, cresce l’uso della pillola del giorno dopo. In Italia, dal 2015 al 2018, le vendite sono aumentate del 79%, grazie anche alla possibilità di acquistarla senza ricetta. Questo dimostra un approccio più consapevole alla sessualità, ma c’è ancora molto da fare per raggiungere una vera rivoluzione contraccettiva. Le donne hanno più strumenti a disposizione, ma l’accesso a informazioni chiare e servizi adeguati resta limitato in molte aree.