Nel 2015 l’Agenda 2030 aveva fissato obiettivi ambiziosi per uno sviluppo che tenesse insieme crescita economica, progresso sociale e sostenibilità ambientale. Un piano globale che, sulla carta, sembra offrire le giuste risposte alle sfide del nostro tempo.
Ma poi ci sono i territori, le regioni, e c’è l’Umbria, che in questo quadro fatica a stare al passo. La realtà locale racconta di un arretramento nelle spese per la ricerca e l’innovazione, di un tessuto imprenditoriale che investe poco e di una regione che rischia di restare indietro. I numeri, anche questa volta, non mentono.
Investimenti in calo: la differenza con le altre regioni italiane
Il Goal 9 dice che bisogna incrementare gli investimenti nella ricerca scientifica e nello sviluppo tecnologico. Non solo a parole, ma con fatti e cifre. Per farcela, è necessario “aumentare la spesa per la ricerca – sia pubblica che privata – e per lo sviluppo”. Ma in Umbria la realtà racconta tutt’altro. Nel 2021 la regione ha subito un taglio dell’8,5% nelle spese destinate alla ricerca, un crollo ben più pesante rispetto alla media nazionale che ha segnato un -5,3%.
Non serve essere economisti per capire cosa questo significhi: la regione sta facendo fatica a tenere il ritmo delle politiche di sviluppo necessarie per raggiungere gli standard imposti dall’Agenda 2030.
La ricerca scientifica in crisi: pochi ricercatori, poche speranze?
I dati relativi ai ricercatori sono ancora più preoccupanti. L’indicatore che misura il numero di ricercatori per ogni milione di abitanti vede l’Umbria scendere a 18,1 ricercatori ogni 10.000 persone. Decisamente sotto la media nazionale, che arriva a 26,8, e ben lontano dal dato del Centro Italia, che si attesta a 33,6. È una distanza che parla di un problema profondo: la regione fatica non solo ad attirare, ma anche a mantenere le competenze scientifiche necessarie per sostenere e stimolare l’innovazione. Con un tale divario, la prospettiva di colmare il gap appare sempre più difficile.
Innovazione tecnologica: l’Umbria arranca
“Migliorare le infrastrutture e riconfigurare le industrie” è una delle raccomandazioni del Goal 9 per raggiungere un modello di sviluppo sostenibile. Eppure, anche su questo fronte, la regione è in netto ritardo. Nel 2021, il valore aggiunto delle imprese umbre di medio-alta tecnologia ha toccato appena il 20,7%, a fronte del 31,6% nazionale e del 22,3% del Centro Italia. Questi numeri non sono solo freddi dati statistici: raccontano la difficoltà delle piccole e medie imprese della regione nell’adottare quelle innovazioni che potrebbero fare la differenza sul mercato e in termini di crescita sostenibile.
L’indicatore composito elaborato per il Goal 9 racconta una storia simile. Nel 2022, l’Umbria ha raggiunto un punteggio di 101,4, piazzandosi al tredicesimo posto tra le regioni italiane. È un risultato che non brilla, soprattutto se confrontato con il Lazio, che guida la classifica con un punteggio di 104,1. Le regioni del Sud e le isole, invece, si trovano ancora più in basso, con punteggi che scendono sotto il 95. Se l’Umbria vorrà competere con le regioni più virtuose, dovrà fare molto di più.
Perché le aziende non investono più in innovazione e ricerca
Le aziende umbre non investono più in ricerca e innovazione per una serie di fattori economici e strutturali. Uno dei principali ostacoli è l’aumento del costo delle materie prime e la difficoltà di accesso al credito, che coinvolge soprattutto le piccole e medie imprese (PMI). Questo rende difficile per molte aziende reperire risorse sufficienti da destinare a progetti di lungo termine, come, per l’appunto, la ricerca e lo sviluppo. Inoltre, l’inefficienza burocratica e i ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione aggravano ulteriormente la situazione, creando un contesto di incertezza economica che scoraggia gli investimenti.
A questo si aggiunge il fatto che la crisi economica legata alla pandemia ha ridotto le attività di ricerca, soprattutto nelle piccole imprese, che hanno subito un forte calo della domanda e delle vendite. Molte aziende umbre, pur riconoscendo l’importanza dell’innovazione, si trovano costrette a riorientare le loro risorse su altre priorità per mantenersi a galla.