Produzione e valore aggiunto sopra la media nazionale, investimenti in aumento e più occupazione. Ma i margini scendono: le imprese umbre lavorano di più e guadagnano di meno. Perugia tiene il passo, Terni arranca. A dicembre, i dati definitivi della Camera di Commercio dell’Umbria chiariranno settore per settore dove la crescita si consolida e dove, invece, serve correggere la rotta.
Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio, sintetizza il quadro con una dichiarazione che sa di sprone: “Le imprese umbre stanno dimostrando una straordinaria capacità di tenuta e di investimento anche in una fase complessa. Tuttavia, la redditività resta troppo bassa rispetto all’impegno profuso. È qui che dobbiamo intervenire: sulla qualità dei margini, sulla competitività e sul valore aggiunto dei prodotti. I dati definitivi di dicembre saranno decisivi per capire dove spingere di più e come accompagnare la crescita con politiche ancora più mirate e condivise.”
Il 2024 delle società di capitali umbre racconta un’economia che accelera, ma con il freno a mano tirato. Il valore medio della produzione per impresa è salito a 4,6 milioni di euro, contro i 4,5 del 2023. Anche il valore aggiunto cresce – da 891.462 a 921.464 euro – superando sia la media nazionale (885.373 euro) sia quella del Centro Italia (776.142 euro).
Un risultato che testimonia solidità e capacità produttiva, ma che si incrina guardando al fronte dei margini. L’Ebitda margin, l’indice che misura il guadagno operativo reale, scende dall’8,4% all’8,3%. È una flessione minima, ma significativa, perché conferma un trend: più produzione, meno margine.
In Italia la discesa è più marcata (dal 9,9% al 9,3%) e nel Centro si passa dall’8,7% all’8,5%. L’Umbria tiene la posizione relativa, ma il nodo resta: la produttività non si traduce in redditività. Per ogni 100 euro incassati, un’impresa umbra nel 2024 ha registrato solo 8,3 euro di margine operativo, contro i 9,3 della media nazionale e i 9,5 del Centro.
Un paradosso economico: si lavora di più, si investe di più, ma si guadagna di meno.
L’Umbria si muove a due velocità. Perugia conferma la propria leadership economica: Ebitda margin all’8,5%, in lieve calo rispetto all’8,7% del 2023 ma ancora vicino alla media del Centro. Terni, invece, scivola dal 7,4% al 7,2%: un arretramento che fotografa un territorio dove la redditività si assottiglia più rapidamente.
La forbice si amplia anche sulla produzione media per impresa, salita a 4,994 milioni di euro a Perugia (contro i 4,892 del 2023), mentre a Terni resta ferma a 3,361 milioni, leggermente sotto i 3,379 dell’anno precedente. Analogo il divario sul valore aggiunto, che a Perugia cresce fino a 1.006.000 euro, mentre a Terni si arresta a 659.894 euro.
La distanza diventa quasi abissale sugli utili netti: media regionale a 190.533 euro per impresa, con Perugia che svetta a 224.169 euro e Terni che si ferma a 86.913 euro. È una diseguaglianza strutturale, consolidata nel tempo, che racconta di due modelli economici distinti: uno, più dinamico e diversificato; l’altro, più legato a comparti tradizionali e vulnerabili.
Nonostante un costo del denaro ancora elevato, le imprese umbre hanno aumentato gli investimenti, passati da 1,883 a 1,939 milioni di euro per impresa di capitali. Il dato è leggermente inferiore alla media italiana (2,113 milioni), ma superiore a quella del Centro (1,9).
Il trend di medio periodo è ancora più eloquente: tra il 2019 e il 2024 gli investimenti umbri sono cresciuti del 44,8%, contro il 32,1% nazionale e il 35,5% del Centro. Segno che il tessuto produttivo regionale, pur piccolo, crede nella crescita e scommette sul futuro.
Anche l’occupazione tiene: le società di capitali umbre contano 14,6 addetti medi, contro i 13,5 della media nazionale e gli 11,7 del Centro. È un segnale di fiducia e radicamento. Le imprese continuano a investire, ad assumere e a produrre, ma il rendimento resta inferiore. In sintesi: più lavoro e più capitale, ma meno reddito.
Dietro i numeri positivi si nasconde il vero nodo strategico dell’economia umbra: trasformare quantità in qualità. La produttività di sistema inferiore, l’eccessiva frammentazione delle filiere e la specializzazione limitata nei settori a maggiore valore aggiunto continuano a frenare la crescita dei margini.
Le imprese umbre dimostrano impegno, capacità e resilienza, ma spesso operano in un contesto competitivo fragile, privo di economie di scala e con un tasso di innovazione ancora disomogeneo. La valorizzazione del capitale umano e tecnologico sarà decisiva per invertire la tendenza.
I dati attuali coprono circa il 70% dei bilanci depositati. Il quadro completo sarà reso noto a dicembre, quando la Camera di Commercio dell’Umbria presenterà il rapporto economico definitivo, con l’analisi dettagliata dei principali settori produttivi.
Sarà, come di consueto, un momento di confronto pubblico tra imprese, istituzioni e università. Ma già ora emerge un messaggio chiaro: l’Umbria tiene, ma non vola. Serve una politica industriale più selettiva, che premi l’innovazione, incentivi la redditività e spinga le aziende verso produzioni a più alto valore aggiunto.
"Le imprese umbre - come ricorda Mencaroni - hanno dimostrato tenuta e visione. Ora spetta al sistema nel suo insieme trasformare questa resistenza in vantaggio competitivo".