29 Sep, 2025 - 18:00

Tuoro, accoltella ripetutamente la moglie poi chiede aiuto al vicino: per i giudici non è pentimento ma tentato omicidio

Tuoro, accoltella ripetutamente la moglie poi chiede aiuto al vicino: per i giudici non è pentimento ma tentato omicidio

Una telefonata non cancella il sangue. È il principio ribadito dal Tribunale di Perugia, che ha condannato a 11 anni e 8 mesi un uomo di Tuoro sul Trasimeno per tentato omicidio della moglie. La sua corsa dal vicino e la richiesta di aiuto, avvenute quando ormai credeva di aver ucciso, non hanno convinto i giudici a riconoscere la cosiddetta desistenza volontaria. Il caso rimette al centro il confine tra il vero ravvedimento operoso e la semplice gestione delle conseguenze di un crimine già compiuto.

La ricostruzione dei fatti del tentato omicidio a Tuoro sul Trasimeno

L’aggressione si consuma tra le mura domestiche, durante un litigio. L’uomo impugna un coltello e colpisce più volte la consorte, indirizzando fendenti violenti verso zone vitali. La vittima, sorpresa e in evidente stato di inferiorità, non riesce a difendersi. L’atto è rapido, reiterato, diretto a provocare conseguenze letali. Quando la furia si spegne e subentra il panico, l’imputato esce di casa e bussa alla porta di un vicino per chiedere aiuto. Nel frattempo, alcuni familiari – allertati da una nipote con il telefono della madre – mettono in moto la catena dei soccorsi che salverà la vita alla donna.

Come riportato da PerugiaToday, la difesa aveva invocato l’estinzione del reato sostenendo che la richiesta di aiuto equivalesse a desistenza. La sentenza respinge con nettezza questa tesi: il ricorso al vicino arriva quando il processo lesivo potenzialmente fatale era già in corso. I colpi, per numero, forza e bersaglio, avevano avviato un decorso potenzialmente mortale.

In altre parole, l’evento non è stato impedito dall’imputato ma dalla tempestività di terzi. Scrivono i giudici: "L’essersi rivolto al vicino quando riteneva di aver già compiuto il delitto è indice della mancata volontà di impedire l’evento". Non un vero intervento interruttivo, dunque, ma l’ansia di chi pensa che “il delitto sia stato consumato” e tenta di correre ai ripari.

La figlia ferita e l’“aberratio delicti”

Nel caos dell’aggressione si consuma un ulteriore dramma. Uno dei fendenti, mancato il bersaglio previsto, raggiunge alle gambe la figlia minore della coppia, presente alla lite. La ricostruzione è sostenuta dalle dichiarazioni della vittima e dei testimoni, oltre che da riscontri video. Per questo la Corte applica l’aberratio delicti: l’errore nel colpire individua una responsabilità autonoma per le lesioni alla ragazza, che vanno ad aggravare il quadro accusatorio e disegnano la scena di un atto incontrollato, cieco alla presenza di una minore.

La decisione individua una un indirizzo univoco dell’azione: arma da taglio scelta e impiegata, reiterazione dei colpi, zone vitali colpite, incapacità di difesa della vittima. Tutti indicatori che, nel loro insieme, illustrano un’intenzione mortifera. Il verdetto è chiaro: al momento della richiesta d’aiuto l’esito potenzialmente fatale era già stato innescato, e a fermarla non è stato l’autore del crimine. Da qui il rigetto dell’attenuante invocata e la conferma dell’impianto accusatorio di tentato omicidio.

Il significato giuridico e sociale della pronuncia

La sentenza del Tribunale di Perugia ha un valore che supera il caso specifico. Sul piano giuridico chiarisce che la “desistenza volontaria” presuppone un’azione idonea e tempestiva ad impedire l’evento. Non basta un gesto tardivo, successivo al compimento delle lesioni che possono condurre alla morte. Sul piano sociale, la decisione ribadisce che la violenza domestica non si ridimensiona con un tardivo allarme: ciò che conta è prevenire, interrompere subito l’azione, proteggere le vittime e attivare reti di supporto. In questa vicenda, a fare la differenza sono stati altri familiari, la prontezza nel chiamare i soccorsi e la velocità dell’intervento sanitario.

Gli 11 anni e 8 mesi inflitti fotografano la gravità di ciò che accadde a Tuoro sul Trasimeno. Il dispositivo, oltre a sanzionare condotte precise, invia un messaggio netto: la chiamata al vicino o al 112 non è di per sé una prova di ravvedimento se giunge quando l’evento letale è già in marcia. La tutela della vita, ricordano i giudici, non passa da gesti ex post, ma dall’interruzione immediata dell’azione criminosa. Un principio che, specie nei contesti di violenza domestica, deve tradursi in prevenzione, protezione e responsabilità.

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Giorgia Sdei
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