04 May, 2025 - 08:30

Tradizione e legittimità: perché il Tavolo dei Ceri può decidere anche senza il Consiglio Comunale

Tradizione e legittimità: perché il Tavolo dei Ceri può decidere anche senza il Consiglio Comunale

Cosa succede quando la politica si scontra con una tradizione più antica della politica stessa? Quando un’istituzione consuetudinaria, radicata nel tessuto identitario di una comunità, agisce in nome del popolo senza passare attraverso i canali ordinari della rappresentanza politica? La recente decisione del sindaco di Gubbio, Vittorio Fiorucci, di avvalersi del Tavolo dei Ceri come organo deliberante in materia di Festa dei Ceri, bypassando il Consiglio comunale, solleva interrogativi che toccano il cuore della relazione tra diritto, politica e tradizione.

Un diritto più antico del diritto

La Festa dei Ceri non è un evento come gli altri. È una manifestazione viva di identità civica, religiosa e culturale che affonda le sue radici nel Medioevo comunale. Le norme che la governano non sono nate per iniziativa di giunte o delibere, ma emergono da un diritto consuetudinario che ha attraversato i secoli. Si tratta di quel Diritto Comune — espressione della fusione tra diritto romano e canonico — che per secoli ha rappresentato l’ossatura normativa dell’Europa continentale, accogliendo al suo interno anche le consuetudini locali, purché non in contrasto con norme superiori.

Nel caso di Gubbio, le consuetudini della Festa sono sopravvissute al tempo, alle riforme statutarie, persino alla secolarizzazione, mantenendo un’autorità riconosciuta de facto e de iure dal popolo e dalle istituzioni locali. In questo contesto, il Tavolo dei Ceri non è un semplice comitato organizzativo: è l’incarnazione moderna di una continuità giuridica che precede e fonda la stessa autorità comunale.

I Boni Homines e le radici del Comune

È bene ricordare che anche il Comune medievale — istituzione oggi data per scontata — nasce da un atto di forza della consuetudine contro le strutture formali. I primi Comuni, tra XI e XII secolo, non furono creati da sovrani o da leggi scritte, ma nacquero dal raduno spontaneo dei cosiddetti Boni Homines, uomini liberi, capifamiglia, artigiani, mercanti, che si riunivano per decidere insieme sui beni comuni, sulla pace cittadina, sulle regole di convivenza. Spesso lo facevano tra i ruderi di teatri o anfiteatri romani, luoghi antichi caricati di significato, da cui si irradiava una nuova autorità collettiva.

Questo gesto — circolare, inclusivo, consuetudinario — è alla radice anche della Tavola Rotonda della tradizione celtica: il luogo simbolico dove nessuno siede sopra l’altro, dove il consenso è costruito e non imposto. Il Tavolo dei Ceri, nel suo nome e nella sua forma, è erede di quella medesima logica: una comunità che si riunisce, si riconosce e decide senza bisogno di mediazioni partitiche.

Il Primo Capitano e la rinuncia al potere

Emblematico, in tal senso, è il gesto che si rinnova ogni anno: il sindaco di Gubbio che consegna simbolicamente le chiavi della città al Primo Capitano. Non è una cerimonia folkloristica, ma un atto carico di significato giuridico e antropologico. È la rievocazione fedele di una prassi medievale secondo cui, in occasione della Festa, l’autorità politica costituente si faceva da parte, cedendo temporaneamente il potere esecutivo a chi rappresentava la volontà e il fervore popolare.

Il Primo Capitano, oggi come allora, incarna la guida della comunità festiva, una figura di equilibrio, prestigio e rispetto. La sua investitura non è politica, ma civica, popolare, e in un certo senso sacrale. Il gesto del sindaco, quindi, non è una semplice concessione: è un riconoscimento del fatto che, almeno per un giorno, la città appartiene al suo popolo nella forma più pura e diretta.

La politica può normare la festa del popolo?

Il Consiglio comunale è, secondo lo statuto, l’organo deliberante dell’ente locale. Ma è anche, inevitabilmente, un luogo politico, dove le logiche di partito, le maggioranze variabili e gli equilibri contingenti tendono a prevalere. La Festa dei Ceri, al contrario, è il regno della comunità e della coesione, dove le divisioni si sospendono in nome di un'identità condivisa. In questo senso, affidare le decisioni al Tavolo dei Ceri significa riconoscere che esiste una dimensione pre-politica e meta-politica in cui la legittimazione non nasce dal voto dei partiti, ma dal consenso profondo e millenario del popolo.

È qui che la scelta del sindaco Fiorucci assume un valore simbolico e giuridico rilevante. Non si tratta di uno strappo istituzionale, bensì del riconoscimento di una autorità altra, fondata sulla prassi, sul vissuto collettivo e sul diritto consuetudinario. Il Tavolo dei Ceri è legittimato non perché eletto, ma perché riconosciuto. Non perché previsto dallo statuto, ma perché radicato nel cuore stesso della comunità eugubina.

Il primato della prassi sulla norma

In epoca di crisi della rappresentanza e di disaffezione verso le istituzioni politiche, il caso Gubbio offre una lezione preziosa: la legittimità può esistere anche al di fuori delle forme tradizionali della democrazia rappresentativa, quando essa è espressione autentica di una comunità viva e partecipe. Il diritto, specie nelle sue origini più profonde, non è mai solo codificazione, ma anche riconoscimento di ciò che il popolo vive e tramanda.

Così, il Tavolo dei Ceri agisce nel solco di una lunga tradizione giuridica, dove la norma è figlia della prassi, e la prassi è figlia della storia. In questa prospettiva, il gesto del sindaco Fiorucci non è una forzatura istituzionale, ma un atto di fedeltà profonda a una comunità che da secoli si autodisciplina attraverso le proprie forme, i propri riti e le proprie istituzioni.

Il popolo che si governa da sé

Può la politica normare una festa che non le appartiene? O deve riconoscere che, almeno per un giorno all’anno, il potere torna direttamente al popolo, nella sua forma più arcaica e più vera? La Festa dei Ceri ci ricorda che c’è un popolo che sa governarsi da sé, senza deleghe e senza partiti. E forse è proprio questo il segreto della sua durata millenaria.

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Mario Farneti
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