Tiziana Zeppa e Massimo Boccucci, eugubini, avvocato la prima, giornalista il secondo, autori del libro “Il filo della speranza – Storie al tempo del coronavirus”, editrice Infopress, sono stati insigniti del riconoscimento dell’Alto Merito per la Letteratura da parte dell’Accademia italiana d’arte e letteratura (Aidal), presieduta da Francesca Romana Fragale. La cerimonia di premiazione si terrà venerdì 10 maggio a Roma, alle ore 11, nella storica Via Giulia presso la Gangemi Editore.

I due autori ci hanno concesso un’intervista in esclusiva.

Diamo la precedenza al gentil sesso, iniziando con Tiziana Zeppa.

Tiziana, qual è stata la motivazione che ti ha portato a scrivere il libro “Il filo della speranza”?

“L’idea del libro è nata durante il lock down; una ragazza di Gubbio era bloccata in una nave da crociera a cui era impedito di attraccare per evitare il contagio e con Massimo (Boccucci, ndr) avevamo cercato di ottenere qualche informazione e qualche contatto per avere sue notizie e capire se e come poterla riportare a casa. In quella occasione Massimo ha scritto un articolo su questo episodio e ne abbiamo parlato. Durante una delle conversazioni mi è scappato detto che sarebbe stato carino raccogliere e raccontare le storie anche singolari accadute in un periodo particolarmente difficile per la nostra socialità e farne un libro e così è nato Il filo della speranza. Tutto organizzato a distanza”.

Zeppa: “Un riconoscimento di grande valore culturale”

Pensavi di ottenere un premio di così alto valore?

“No, non mi sarei mai aspettata che il nostro libro nato quasi per caso avesse riconoscimenti e soprattutto un riconoscimento di questo valore che gratifica molto anche considerato il valore culturale di chi ce lo ha conferito. Sono storie, aneddoti e fatti accaduti realmente in quel periodo”.

Volevamo raccontare come il contagio ed il distanziamento sono stati vissuti a Gubbio, dal primo anzi dalla prima contagiata, passando attraverso purtroppo il dolore per la perdita di chi non ce l’ha fatta e la forza o la fortuna di chi invece è riuscito a venirne fuori con cenni anche alla resilienza di chi ha cercato di rispettare le tradizioni oppure far sorridere in un momento in cui non c’era molto da gioire non so quale sia e se abbia un valore etico. Noi volevamo solo raccontare delle storie e lasciare una traccia di cosa è accaduto durante il Covid a Gubbio sia per coloro che l’hanno vissuto sia per coloro che fortunatamente ne leggeranno solo nei libri”.

Il filo della speranza, storie di vita reale al tempo del coronavirus

Quali sono le storie più indicative e qualificanti del libro?

“Il vissuto di questo libro sta tutto nella vita reale di quanto accaduto, dal primo contagio, un medico del territorio di Gubbio che con 525 chilometri di superficie è il settimo d’Italia e cinque volte la città di Parigi. Ci sono due storie dal mondo della scuola: Claudia e Gaia, l’una in Erasmus in Spagna a Santiago de Compostela tornata a casa con un viaggio della speranza tra le paure della famiglia in ansia e l’altra rientrata dalla Thailandia grazie a un’organizzazione americana. C’è anche chi ha inaugurato un nuovo negozio in pieno lockdown e una famiglia reclusa con 12 persone tra genitori, un nonno e 9 figli in 200 metri quadrati. Fino ad arrivare al goliardico tentativo di esorcizzare la paura uscendo di notte nel deserto travestito da dinosauro in omaggio a una zona dove trova uno dei fondamenti, nella Gola del Bottaccione per la presenza di iridio, la tesi storico-scientifica sulla caduta del meteorite che 66 milioni di anni fa determinò la scomparsa dei dinosauri”.

Boccucci: “Chi è stata la musa ispiratrice de ‘Il filo della Speranza’”

Massimo, c’è stato qualcosa o qualcuno che ti ha dato l’ispirazione per questa opera?

“L’avvocato Tiziana Zeppa è stata la musa ispiratrice, nel senso che lei ha proposto questo libro. La mia attività giornalistica mi aveva portato a occuparmi soltanto di qualche prefazione per iniziative editoriali di amici colleghi scrittori. Non avevo mai avuto tempo e modo di pensare a un libro. Il covid ha sicuramente dato una spinta di fronte all’intelligente proposta di Tiziana. Mi piace sottolineare il contributo del collega giornalista Roberto Conticelli, giornalista di lungo corso de La Nazione e già presidente dell’Ordine dei Giornalisti dell’Umbria, con una prefazione che ha colto la quinta essenza di questa iniziativa editoriale”.

È un libro di speranza in un momento buio come quello del covid…

“Penso che sia un libro senza tempo, ossia inquadrato in un momento di difficoltà che si può sempre attraversare nella vita pur nella consapevolezza che questa pandemia ha cambiato la storia del mondo”.

Una testimonianza da consegnare alla Storia della comunità eugubina

Ti aspettavi di vincere un premio così prestigioso?

“Dico no, semplicemente perché ho sempre pensato che raccontare queste storie avesse l’esclusiva finalità di essere una testimonianza da consegnare alla Storia della comunità eugubina e di ogni dove. Abbiamo voluto contribuire a far comprendere una volta di più cosa può succedere quando l’orologio della vita si ferma pur continuando a correre. L’Accademia italiana d’arte e letteratura, presieduta da Francesca Romana Fragale, ci ha dato un privilegio che è oltremodo gratificante per lo spessore e le finalità del sodalizio”.

Qual è l’ambiente dove si sviluppano le storie che hai raccontato?

“L’ambientazione familiare e di lavoro, di esperienza e di vissuto nel suo strato più profondo. Tutto è legato con il filo della speranza perché nelle difficoltà è proprio la speranza che rende l’essere umano più forte e pronto a superare ogni ostacolo. Per dirla con le parole di Kierkegaard, perché i filosofi e le riflessioni di Tiziana Zeppa collegano i vari capitoli: ‘La speranza è un seccatore indiscreto di cui non ci si può liberare, è un amico attaccabrighe che ha sempre la ragione dalla sua parte, è un astuto traditore più perseverante perfino dell’onestà’”.