La seconda edizione del TIC Festival di Terni sta per iniziare e tra gli ospiti di quest’anno c’è anche Marta De Vivo, giovane giornalista che sarà protagonista di un incontro il 14 aprile proprio sul giornalismo digitale. Insieme a lei, a parlare dell’evoluzione del giornalismo al tempo dei social, ci saranno Clara Morelli, Angelo Luigi Baiguini e Caterina Proietti.
Marta De Vivo e il giornalismo oggi: un’anticipazione del TIC Festival
Marta De Vivo ha le idee chiare e una visione ben precisa di quello che è – o dovrebbe essere – il giornalismo, specialmente in un’epoca in cui l’informazione social la fa da padrone. Quest’ultima è spesso frammentaria, semplificata e fuorviante. Quello di cui abbiamo bisogno è tornare a riconoscere la figura del giornalista in quanto tale, con la sua serietà e autorevolezza. È quello di cui Marta De Vivo parlerà, insieme agli altri relatori, al TIC Festival di Terni.
Il tuo incontro al Tic Festival sarà sul giornalismo digitale. Cosa pensi che stia accadendo a livello giornalistico nel mondo sempre più connesso degli ultimi tempi dove siamo bombardati di notizie h24?
“Dal mio punto di vista in futuro sarà sempre più importante avere autorevolezza. Per autorevolezza io intendo avere la competenza per poter parlare di un certo argomento, quindi avere cultura su quell’argomento. E in secondo luogo avere autorevolezza nel senso di controllare le proprie fonti, di scrivere bene, quindi di avere proprietà di linguaggio. Secondo me sempre di più in futuro il giornalismo dovrà entrare in una dimensione, che oggi non c’è, che è una dimensione di cura: cura dei contenuti, di attenzione al linguaggio.
Ci sarà un giornalismo di alto livello, che sarà il giornalismo vero e proprio. E poi ci sarà tutto il resto, che non è giornalismo. Perché quello che noi vediamo oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, secondo me non è degno di essere chiamato giornalismo. È informazione spiccia, è ignoranza, è pressappochismo, è semplificazione. E ormai c’è una sovrabbondanza di informazioni e di presunti giornalisti, presunti opinionisti, che le persone neanche considerano più quelle fonti e quelle persone perché è così tanta l’offerta che le persone non si degnano neanche più di approfondire le questioni.
Secondo me un domani quelli che si distingueranno saranno coloro che porteranno qualità, che a mio modo di vedere è una cosa positiva perché in un marasma di sovrabbondanza e di nulla, chi sa fare il proprio mestiere secondo me si distinguerà rispetto al resto.”
Dal tuo punto di vista ci sarà quindi una sorta di involuzione nel giornalismo. Un ritorno alla figura del giornalista autorevole, rispettato, come era visto un tempo. Con il boom dei social, secondo te qual è la generazione che ha più difficoltà nel destreggiarsi tra notizie vere, fake news e semplificazioni?
“Penso che ci sono due piani di ragionamento diversi. Da un lato le persone che erano abituate a un altro parametro, ad altri modi di raccontare, sicuramente si trovano spaesati perché non sono avvezze a questo tipo di comunicazione. Quindi magari cadono anche più facilmente in fake news, in notizie false, in semplificazioni. E poi si genera anche tutta quella propaganda involontaria che deriva da queste informazioni false, o comunque da questo modo di raccontare semplicistico. Perché quando divulghi informazioni raccontate a metà, oppure episodi di cronaca buttati così senza contestualizzarli, si generano delle narrazioni propagandistiche.
Dall’altro lato c’è da dire, invece, che la mia generazione e le persone che sono nate dal 2000 in poi, sono in qualche modo nauseati da tutta questa informazione. Non tutti, parlo di una parte di giovani altamente qualificati, o comunque con una certa cultura, che secondo me hanno anche un po’ una nausea. Di questi opinionisti o presunti tali, di tutte queste persone che, anche per merito per carità, sono riuscite a costruirsi una loro strada sui social. Ma che vengono presi per qualcosa che non sono. Un conto è dire “io sono bravo a comunicare o a semplificare un argomento”, un altro è dire “io faccio informazione e sono un giornalista”. Sono due cose diverse.
Invece ci sono tante persone che ad oggi vengono prese addirittura come dei punti di riferimento e come informatori quando in realtà non sono quella cosa lì. Al massimo sono delle persone che semplificano dei concetti per chi proprio non ha le basi. L’informazione, l’approfondimento, l’inchiesta è un’altra cosa. E secondo me c’è tutta una parte di giovani che è stufa. Ti ripeto, secondo me in futuro si darà molta più importanza al contenuto. C’è un’involuzione in questo senso, ed è un’involuzione affascinante da seguire. Perché non riguarda solo il mondo dell’informazione, ma è un’involuzione che riguarda proprio tutta la realtà virtuale, tutta la realtà social. Le persone hanno la nausea della pochezza che ha contraddistinto e che contraddistingue questi mezzi di comunicazione.”
Marta De Vivo, al TIC Festival di Terni farai un intervento il 14 aprile in BCT dove parlerai proprio del giornalismo digitale e della sua evoluzione. Puoi darci un’anticipazione?
“Sì, l’argomento principale sarà proprio l’evoluzione del giornalismo. Ci saranno relatori che hanno visioni molto diverse tra loro, perché in fondo veniamo tutti da una storia diversa. Ognuno di noi ha delle visioni e un’età differenti, quindi l’idea è quella di fare un po’ un excursus di quello che è stato il giornalismo fino adesso e di quella che sarà la sua evoluzione partendo ovviamente dalle storie personali. Cioè dalla competenza e dall’esperienza di ognuno di noi.
Nel mio caso quello che cercherò di portare è l’istituzionalizzazione di un certo tipo di giornalismo e quando quel giornalismo può essere autorevole. Perché io non sono partita dai social, i social sono arrivati dopo. Poi quando sono approdata sui social io ho fatto giornalismo anche lì, però l’ho fatto in un modo un po’ diverso. Mi spiego: penso che il modo che molte persone hanno di fare informazioni sui social secondo me è nocivo. Perché, come ho già già detto, genera disinformazione e poi genera anche quel senso di nausea del quale ho parlato prima. Quello che voglio raccontare è come si può fare giornalismo in maniera autorevole, o quantomeno provarci, usando sempre quel mezzo. Quindi come anche i social possono istituzionalizzarsi e avere una propria credibilità se ci si approccia in un certo modo.”
Sempre riguardo ai social, sembra che l’utente medio non possa esimersi dal commentare ogni tipo di notizia, anche la più autorevole, dicendo ciò che pensa senza filtri. Cosa ne pensi?
“Ho visto un documentario interessantissimo proprio su questo. Spiegava che, in realtà, per come si è sviluppata l’umanità, all’inizio non esisteva l’idea di stare tutti insieme appassionatamente. Il documentario spiega benissimo come i social in realtà non siano normali, naturali, per noi essere umani. Perché gli esseri umani non sono abituati a confrontarsi tutti i giorni con una platea di persone che non hanno niente a che vedere con loro. Quindi già di per sé il social crea un ambiente che non è naturale e che non è nel nostro DNA: cioè ritrovarsi in un contenitore dove ci si confronta con qualcosa che è completamente diverso da noi. Se nella vita decidiamo chi vogliamo vedere o frequentare, sui social invece non possiamo decidere con chi confrontarci. E quindi ci si va a confrontare anche con persone che nella vita quotidiana non frequenteremmo mai. Da qui si crea il conflitto.
Sul fatto che tutti sentano autorizzati a dire tutto sì, è molto più facile commentare negativamente anziché dire qualcosa di positivo. A me capita spessissimo di ricevere commenti d’odio per dei miei articoli perché hanno letto solo il titolo. Non leggono il contenuto e solo per il titolo mi insultano. Ci tengo ad aggiungere però anche la facilità con la quale alcune persone che invece hanno potere – nel senso che sono molto seguite – si permettono di pubblicare cose su altri utenti e creare delle gogne mediatiche. Senza curarsi minimamente degli effetti che possono avere su di loro. A me è successo in passato che persone molto seguite mi hanno esposta, insultandomi con i loro follower, e hanno creato una gogna mediatica contro di me.
Anche questo fa riflettere: non è solo l’utente medio che si permette di commentare, di insultarti, ma sono anche quelli che hanno un grande potere in termini di numeri. Che non si curano affatto degli effetti, della responsabilità e della potenza che hanno. Secondo me andrebbe regolamentato e penso anche che ci arriveremo in futuro.”
A fronte di tutto ciò, cosa ne pensi dell’Ordine dei Giornalisti?
“Credo che sia necessario avere un Ordine proprio per mantenere quell’autorevolezza di cui parlavo prima, ma credo anche che andrebbero modificati i parametri di ingresso. Bisogna trovare una formula per istruire i giovani giornalisti e per tenere una certa soglia di merito alta. Proprio alla luce di ciò che vediamo, cioè di persone che si improvvisano giornalisti, proprio per ridare qualità, importanza, autorevolezza alla figura del giornalista per me bisogna avere un Ordine.
Ma i parametri non possono essere gli stessi che ci sono ora, perché fare il giornalista oggi non è economicamente sostenibile. I parametri di ingresso all’Ordine dovrebbero seguire degli schemi di merito: richiedere magari un titolo di studio, la conoscenza delle lingue, ecc. E togliere tutti quei paletti che sono di tipo solo economico-sociale e che lasciano fuori tantissimi giovani che non possono permettersi di mettere in stand by la loro vita per prendere il tesserino.”