A Terni il commercio è un settore che da tempo sta affrontando una crisi sempre più nera. Tanti i negozi che chiudono in una lunga emorragia che non risparmia né il centro né la periferia. Ma a pagare le conseguenze della crisi sono più le donne che gli uomini evidenziando una complessa questione di genere. A lanciare l’allarme è la Cgil di Terni che oggi ha fatto il punto della situazione. E quello che emerge è preoccupante.

Rossi: “Occupazione femminile in forte calo nel commercio”

Se è vero che Terni tradizionalmente è un territorio a forte vocazione industriale, è altrettanto vero che quel delicato e necessario passaggio da un’economia produttiva a un’economia di servizi appare sempre più monco. Negli ultimi decenni, come è fisiologico che accada, si è assistito a una crescente terziarizzazione dell’economia ternana che però non ha prodotto gli effetti auspicati. Al contrario, perché il terziario a Terni, dicono dalla Cgil, è un settore povero, che si impoverisce sempre di più e che invece di rilanciare l’economia, riesce malamente a sopravvivere “al ribasso” con tanti centri commerciali che minacciano gli esercizi più piccoli.

I dati diffusi dal sindacato parlano chiaro. “Tra il 2013 e il 2023 Terni ha perso il 19% dei negozi al dettaglio, 80 esercizi nel centro storico e 168 nelle aree periferiche – ha spiegato Lucia Rossi, segretaria generale della Filcams Cgil di Terni – e questo non solo fotografa l’impoverimento del tessuto commerciale diffuso a vantaggio delle grandi superfici dei centri commerciali, ma si ripercuote inevitabilmente sull’occupazione, in particolare quella femminile”.

Allarme commercio a Terni: Conbipel e Terranova chiusure emblematiche

A dimostrazione di quanto a Terni le donne paghino a caro prezzo la crisi del commercio, nell’ultimo mese sono arrivare due chiusure che fanno veramente male: Conbipel e Terranova che hanno lasciato a casa una ventina di lavoratrici. Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg, come ha sottolineato anche Luca Solano, della segreteria provinciale Filcams Cgil di Terni. “Il calo dell’occupazione femminile – ha spiegato Solano – passata dal 54% del totale nel 2019 all’attuale 50%, è un indicatore chiaro della crisi che sta vivendo il commercio ternano, dove le donne sono la stragrande maggioranza”.

Ma non ci sono soltanto le chiusure. Nel commercio la contrattualizzazione appare sempre più demandata a contratti pirata con conseguenti salari troppo bassi e l’inevitabile aumento della precarietà in un settore già fortemente provato. “Alle istituzioni chiediamo da tempo un patto per la legalità nel settore, a partire dagli appalti – ha spiegato ancora Rossi – perché non è più sostenibile che la competizione in questi settori si giochi tutta sul costo del lavoro, spesso sconfinando nell’irregolarità e nel lavoro grigio”.

Nel commercio si concentra troppo lavoro nero: un’emergenza

E mentre le donne pagano più di altri la crisi del commercio ternano, è proprio qui che si spalanca quella terra di nessuno dove si concentra tanto lavoro sommerso, troppo. “Nel 2023 – ha rimarcato ancora Luca Solano – su 48 casi accertati di lavoro sommerso in provincia di Terni, 31 erano concentrati nel terziario e su 982 irregolarità accertate, ben 831 riguardavano questo settore. È evidente che questi numeri descrivono un’emergenza che le istituzioni e le parti datoriali non possono continuare a far finta di non vedere”.

Quali dunque le possibili soluzioni? Il problema è complesso ed è necessario agire su più fronti. Anzitutto governando il cambiamento con opportuni strumenti a garanzia e controllo del lavoro. Dalla Cgil arrivano tre proposte. La prima è l’introduzione di patti per la legalità con le associazioni datoriali per incentivare una “competizione sana” che non abbia come unico scopo l’abbattimento del costo del lavoro. Poi, un protocollo a livello regionale che garantisca il rispetto degli appalti evitando che si giochi al ribasso e infine l’istituzione di osservatori nei Comuni che si occupino di vigilare sulla corretta applicazione dei contratti nel rispetto dei diritti di lavoratori e lavoratrici. “Perché i processi, se non governati, possono travolgere chi li subisce e noi questo non intendiamo accettarlo” concludono dalla Cgil.