Se n’è andato nel modo da lui auspicato: da grande uomo. Sven Goran Eriksson è scomparso, oggi 26 agosto 2024, in seno ad un breve e feroce calvario. Cancro. Lo ha chiamato così, col suo nome, con franchezza e con dignità, quando solo pochi mesi fa aveva voluto rendere pubblica la malattia. Da lì, la sensazione che non sarebbe rimasto molto. Quindi, giri e passaggi negli stadi del mondo dove ha scritto la storia. Tra cui lo stadio Olimpico di Roma dove, il 26 maggio scorso, ha salutato i tifosi della sua Lazio. Al fianco del cantante Briga, nel prepartita della sfida poi giocata e pareggiata contro il Sassuolo, Eriksson si è goduto le emozioni di uno stato che intonava My Way. Il celeberrimo pezzo di Frank Sinatra che, a riascoltarlo dopo la notizia della morte, quasi appare un congedo al suo passaggio su questa terra: “I’ve lived a life that’s full I traveled each and every highway”.

Chi era Sven Goran Eriksson

Nato nel 1948 a Sunne, in Svezia, Sven Goran Eriksson ha costruito una solida carriera in diversi club europei. Dopo un inizio di carriera tra Gotenborg e Benfica, approda in Italia nelle vesti di direttore tecnico prima della Roma, poi della Fiorentina, quindi della Sampdoria. Ma è in panchina, non dietro la scrivania, che Sven Goran Eriksson entra nella storia del calcio. E lo fa proprio alla guida della Lazio. Con lui, il club romano ha vissuto un periodo d’oro, culminato nella vittoria dello Scudetto nella stagione 1999-2000, oltre a trofei come la Coppa e Supercoppa italiana.

Senza dimenticare la grande Lazio d’Europa, vincitrice della Coppa delle Coppe e poi della Supercoppa Europea. Eriksson ha saputo costruire una squadra vincente e competitiva, capace di valorizzare tecnicamente e coccolare umanamente una rosa di calciatori straordinari. Da Nesta e Mihajlovic passando per Nedved, Simeone, Veron, Salas e Simone Inzaghi. La sua – se non altro per quanto fatto vedere alla Lazio – reincarnazione calcistica.

Dopo c’è stata l’esperienza in Inghilterra come cittì della Nazionale, il primo straniero sulla panchina dei Tre Leoni, dove ottiene ottimi piazzamenti ai campionati del Mondo e d’Europa pur non riuscendo a vincere trofei. Quindi, l’anno al Manchester City. Infine, le esperienze tra Messico, Costa d’Avorio, Cina, Arabia, Filippine. Sempre con una costante, un filo rosso lungo quanto tutto il mondo che ha esplorato grazie al pallone, e cioè che ovunque ha saputo distinguersi. Calcisticamente ed umanamente.

Lo scudetto vinto “A Perugia”

C’è pure un po’ di Umbria nella carriera di Sven Goran Eriksson. Perugia, ad essere precisi. L’ultima giornata della Serie A 1999-2000, infatti, ha vissuto un epilogo degno della sceneggiatura di un film da premio Oscar. La classifica diceva: Juventus 71 punti, Lazio 69. I bianconeri giocavano sul campo del Perugia, La Lazio affrontava la Reggina in un Olimpico gremito e carico di speranza. La partita si concluse senza troppe difficoltà per i biancocelesti: 3-0 con le reti di Simone Inzaghi, Juan Sebastián Verón e Diego Simeone. Una Lazio già in festa, insomma, stava facendo la sua parte. Mentre 175 km più in là, si stava per compiere la storia. Della Lazio e di Eriksson.

La pioggia, la festa, la vittoria di Sven Goran Eriksson

La pioggia. È questa la componente che spicca maggiormente. La ricorda chi c’era, la nota chi vede le immagini di quella partita. Nel secondo tempo di Perugia-Juventus, infatti, si abbatté un violento nubifragio sullo stadio Renato Curi, che causò la sospensione temporanea del match da parte dell’arbitro Pierluigi Collina. Dopo circa 70 minuti di interruzione, l’arbitro decise di far riprendere la partita, nonostante il campo fosse pesantemente allagato. Nessun agente esterno, nemmeno atmosferico, poteva impedire al destino di compiersi.

Dunque, nel secondo tempo, con la partita che sembrava destinata a un pareggio, ecco il plot twist di questa pazze storia: al 49esimo minuto, il giocatore del Perugia Alessandro Calori segnò il gol che avrebbe deciso l’incontro. La Juventus, sorpresa e demoralizzata, non riuscì a reagire e la partita terminò 1-0 a favore del Perugia. All’Olimpico, una festa in potenza e trattenuta per più di un’ora, si liberò: sono le 18:04 del 14 maggio 2000. La Lazio è campione d’Italia per la seconda volta nella sua storia. Una pagina scritta – penna, calamaio, occhiali sul naso – da Sven Goran Eriksson.