Il Consiglio comunale di Gubbio, nella seduta del 30 settembre, ha dovuto prendere atto di una notizia che circolava già da settimane tra gli addetti ai lavori: la Spartan Race non si svolgerà più a Gubbio. Dal 2026 l’evento sportivo internazionale approderà a Orte, in provincia di Viterbo, come confermato dallo stesso Comune laziale.
A darne notizia è stata l’assessore allo Sport Carlotta Colaiacovo, che ha sottolineato come «solo Gubbio avesse siglato un accordo vincolante con Spartan», chiedendo all’organizzazione «chiarezza e responsabilità sul documento firmato». Ma ormai la decisione sembra presa: la competizione più famosa al mondo tra le corse a ostacoli troverà casa lungo il Tevere, dopo tre edizioni che a Gubbio avevano radunato circa 5.000 atleti più accompagnatori, famiglie e spettatori.
Il copione, a ben vedere, non è nuovo. Nel 2012 Gubbio aveva perso l’occasione irripetibile di continuare a ospitare la fiction Don Matteo, che dopo otto fortunate stagioni scelse Spoleto. Nel 2024 fu la volta dello SpencerHill Festival, dedicato ai mitici Bud Spencer e Terence Hill, durato appena un anno.
Oggi la storia si ripete. «Sembra che Gubbio faccia di tutto per lasciarsi sfuggire eventi importanti per la visibilità della città», commentano molti cittadini amareggiati. E se in passato la perdita di Don Matteo fu attribuita alla sottovalutazione politica del valore promozionale di quella produzione televisiva, la Spartan Race sembra dimostrare che il problema non è episodico, ma strutturale.
La Spartan Race non è una gara qualunque. Si tratta della manifestazione leader mondiale nel settore delle Obstacle Course Racing (OCR), che combinano corsa campestre, forza, resistenza e abilità tecnica. Gli atleti devono affrontare ostacoli naturali e artificiali: muri da superare, corde da scalare, fango da attraversare, pesi da trasportare.
È uno sport che richiama non solo gli agonisti, ma un intero indotto di appassionati, famiglie e amici. Ogni tappa porta nelle città ospitanti migliaia di visitatori, con ricadute evidenti su turismo, ricettività, ristorazione e commercio locale.
Non a caso il Comune di Orte ha subito accolto con entusiasmo la possibilità di ospitare la gara dal 25 al 26 aprile 2026, offrendo un contesto nuovo, ma con l’ambizione di trasformare l’evento in un appuntamento stabile.
Fonti interne alla maggioranza del sindaco Vittorio Fiorucci ammettono che il rischio era percepito già al termine dell’edizione 2025. Tuttavia, nei mesi successivi non si è discusso seriamente della conferma per il 2026. Un atteggiamento di inerzia amministrativa che ricorda quanto accaduto in passato per Don Matteo e SpencerHill.
«Il Comune ha chiesto chiarezza alla società organizzatrice, ma nel frattempo non ha costruito le condizioni per garantire la permanenza della Spartan Race», sottolineano alcuni osservatori. La società CSport Marketing, che gestisce l’evento, avrebbe comunicato la propria volontà di cambiare radicalmente sede, complice anche una riorganizzazione interna.
Il problema non è solo organizzativo. Molti cittadini leggono in questa ennesima perdita il riflesso di una mentalità più ampia. Gubbio è una città ricca di storia, arte, architettura e natura, ma appare spesso incapace di valorizzare le proprie potenzialità.
«Gli eugubini appaiono caratterialmente inerti e rinunciatari», è la critica diffusa. Un popolo che possiede un patrimonio immenso, ma che fatica a mettersi in gioco, a scommettere su sé stesso e ad affrontare sfide nuove.
La conseguenza è un lento e progressivo spopolamento, un indebolimento del tessuto economico e una crisi che, secondo molti analisti, dura ormai da oltre ottant’anni.
Oggi il tema non è più solo la Spartan Race o Don Matteo. È il rischio che Gubbio rimanga tagliata fuori dai grandi circuiti culturali, sportivi ed economici. Serve un cambio di passo, una vera e propria rivoluzione della mentalità dominante.
Non basta affidarsi alla bellezza del paesaggio e alla forza della tradizione medievale. Bisogna saper attrarre investimenti, creare eventi, costruire relazioni stabili con organizzatori e partner.
«È necessario che la città smetta di vivere di rendita e afferri quello che il caso propone e impari a competere con altre realtà», spiegano alcuni operatori turistici.
La perdita della Spartan Race potrebbe essere anche l’occasione per aprire una riflessione più ampia, se ci fosse la volontà. L’Umbria è una terra che vive sempre più di turismo esperienziale: sport, enogastronomia, natura, spiritualità.
Gubbio ha tutte le carte in regola per diventare una capitale del turismo attivo: trekking, biking, eventi outdoor, festival culturali. Ma servono una strategia e una governance condivisa.
La domanda ora è semplice: Gubbio vuole continuare a perdere pezzi o vuole rilanciarsi? La Spartan Race a Orte non è solo una gara che se ne va. È una realtà che mette la città di fronte a un bivio.
«Se non cambiamo mentalità, continueremo a scivolare in una crisi senza ritorno», avvertono alcuni giovani imprenditori. «Abbiamo bisogno di coraggio, di capacità di fare squadra e di una visione a lungo termine».
La sfida non è solo politica. È culturale. È il passaggio di consegne tra una generazione che ha vissuto di ricordi e di rendita storica e una nuova generazione che vuole vedere in Gubbio una città dinamica, europea, capace di innovare senza perdere le radici.
Se Orte ha vinto la sfida della Spartan Race è perché ha saputo mostrarsi affidabile, pronta e competitiva. Gubbio, al contrario, si è mostrata lenta, divisa, incerta.
Ora serve invertire la rotta. La città deve dimostrare di non essere solo un museo a cielo aperto, ma una comunità viva, in grado di cogliere le occasioni e trasformarle in crescita economica e sociale.
La partenza della Spartan Race da Gubbio è un duro colpo, così come lo furono la perdita di Don Matteo e dello SpencerHill Festival. Ma può anche essere un’occasione per aprire gli occhi.
Il rischio è quello di un declino silenzioso, fatto di eventi che sfumano, di giovani che se ne vanno, di economie che si spengono.
Il futuro, però, non è scritto. Con coraggio e determinazione, Gubbio può scegliere di cambiare. Di investire, di aprirsi al mondo, di credere in sé stessa.
Solo così la città potrà smettere di perdere e tornare a vincere. Non nelle gare a ostacoli, ma nella sfida più importante: quella di costruire un futuro degno della sua storia millenaria.