17 Oct, 2025 - 10:18

Sollecito su TikTok: “Una sentenza di assoluzione non ti libera dal giudizio degli altri”

Sollecito su TikTok: “Una sentenza di assoluzione non ti libera dal giudizio degli altri”

In un video pubblicato il 15 ottobre su TikTok e rilanciato dal sito de La Repubblica, Raffaele Sollecito – oggi 41enne informatico pugliese – torna a parlare del caso Meredith Kercher e dello stigma che continua a subire nonostante l’assoluzione. Sollecito ricorda che la Cassazione ha chiuso definitivamente il processo con l’assoluzione nel 2015, ma osserva che “una sentenza di assoluzione non ti libera” dai sospetti altrui. Nel video afferma infatti:

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“Ci sono storie che non finiscono, anche quando la giustizia dice che sei innocente. La mia è così”,

ribadendo di sentirsi imprigionato dallo “sguardo delle persone” e non da una condanna formale.

Il nuovo video su TikTok

Il video di Sollecito è stato registrato dopo i recenti sviluppi sul caso di Garlasco. Nel filmato egli denuncia il paradosso sociale di oggi: “Viviamo in un mondo nel quale si censurano le battute fatte verso le minoranze ma si può facilmente rovinare la vita di un innocente e poi far finta di nulla”. Sottolinea che il “marchio” della vicenda lo perseguita:

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“Il marchio che mi porto addosso non è una colpa – dice Sollecito nel video – ma uno stigma. Una sentenza di assoluzione non ti libera ma spesso ti porta in una nuova prigione: quella del giudizio e dello sguardo delle persone”.

Queste parole – riprese da Repubblica e da altre testate – hanno riacceso il dibattito sul caso di Perugia e sul modo in cui i media trattano gli innocenti.

Il caso Meredith Kercher

La vicenda processuale di Sollecito risale all’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, uccisa a Perugia la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre 2007. Sollecito e la sua allora fidanzata Amanda Knox furono arrestati insieme al terzo imputato Rudy Guede. Dopo un primo grado di condanna per entrambi Knox e Sollecito, furono assolti in appello e scarcerati, salvo poi subire un nuovo processo in Cassazione che annullò l’assoluzione. Infine, nel 2015 la Suprema Corte emise l’assoluzione definitiva per entrambi. È importante ricordare che l’unico ritenuto colpevole del delitto rimane Rudy Guede, che ha scontato la propria condanna.

Nonostante la pronuncia di innocenza definitiva, Sollecito sottolinea di aver trascorso “quattro anni in carcere” durante le indagini, un’esperienza che non si è cancellata con la sentenza. Oggi afferma che la sua vita è rimasta segnata da quel “marchio” mediatico:

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“Ancora oggi mi sento costretto a dimostrare di non essere quello che hanno raccontato di me”.

Nel video cita episodi quotidiani in cui percepisce il pregiudizio altrui – «quando entro in un bar, quando vado a fare qualche commissione» – e conclude con l’amara constatazione di dover “colmare quella distanza che c’è tra chi sono e quello che leggo nello sguardo delle persone”.

Il caso Garlasco

Sollecito collega il proprio vissuto a quanto sta accadendo nel caso di Garlasco (l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto nel 2007): recenti inchieste giornalistiche hanno riaperto il dibattito sulla colpevolezza di Alberto Stasi, l’unico condannato per quel delitto. Nel video afferma di riconoscere «una situazione simile» anche lì: “Lo sto vedendo di nuovo nel caso di Garlasco e la cosa mi intristisce molto”. Con questa frase Sollecito intendeva sottolineare come, a suo avviso, anche in quella vicenda l’opinione pubblica resti scettica di fronte a un’assoluzione definitiva, perpetuando il dubbio sui presunti innocenti.

Lo stigma dell’innocenza

Al centro dello sfogo di Sollecito c’è il tema dello stigma sociale legato all’essere stati accusati. Il video mette in luce un paradosso: secondo l’ex imputato, la sensibilità pubblica oggi è molto attenta alle offese alle minoranze, ma scarsamente protettiva verso chi è stato ingiustamente coinvolto in un crimine. Come egli stesso dichiara, il politically correct “difende tutto e tutti, tranne chi non ha fatto nulla”.

La conclusione di Sollecito è personale e amara: pur avendo ottenuto l’assoluzione, continua a percepire intorno a sé l’ombra del sospetto. L’ex imputato dichiara di portarsi addosso “uno stigma” che “non te lo toglie nessuna sentenza”, e alla fine del video ribadisce:

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“Una sentenza di assoluzione non ti libera – conclude – ma spesso ti porta in una nuova prigione, quella del giudizio e dello sguardo delle persone”.

 

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Francesca Secci
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