11 Jul, 2025 - 10:13

Inchiesta ⁠‘Seven to Stand’, la Corte d’Appello di Perugia ribalta la sentenza di primo grado: assolti tutti gli imputati

Inchiesta ⁠‘Seven to Stand’, la Corte d’Appello di Perugia ribalta la sentenza di primo grado: assolti tutti gli imputati

Una vicenda giudiziaria durata quasi un decennio si chiude con un colpo di scena. La Corte d’Appello di Perugia ha assolto tutti gli imputati coinvolti nel processo legato all’inchiesta “Seven To Stand”, scaturita nel 2016 da un presunto caso di truffa in ambito sanitario. A cadere è l’intera impalcatura accusatoria: l’associazione per delinquere non esiste, i reati di truffa non sussistono, e anche le statuizioni civili e le confische dei beni sono state annullate. La Corte ha così riformato integralmente la sentenza emessa nel novembre 2022 dal tribunale di Terni, che aveva condannato cinque persone.

La genesi del caso: dalla presunta cura ai primi arresti

L’inchiesta, coordinata dalla Procura della Repubblica di Terni, aveva sollevato fin dall’inizio forti polemiche. Al centro delle indagini, una presunta cura alternativa per patologie come sclerosi multipla, artrite reumatoide e morbo di Parkinson. Secondo gli inquirenti, il protocollo chiamato “Seven To Stand” prometteva risultati miracolosi, ma si fondava su farmaci inefficaci se non dannosi. La cura veniva somministrata in un centro estetico di Terni, spacciato per clinica, a fronte di pagamenti compresi tra i 2.000 e i 4.000 euro.

A capo dell’organizzazione, secondo la ricostruzione iniziale, l’avvocato torinese Fabrizio De Silvestri, ideatore del protocollo e paziente numero zero. Con lui, coinvolti il medico Pierluigi Proietti, il farmacista Giovanni Domenico Petrini, la fisioterapista Annalisa Grasso, l’ingegnere biomedico Edoardo Romani e un collaboratore tuttofare. Le accuse: esercizio abusivo della professione medica, commercializzazione di medicinali contraffatti, truffa aggravata e associazione per delinquere.

Assolti gli imputati dell'inchiesta Seven To Stand, la sentenza d’appello: “Il fatto non sussiste”

Nove anni dopo gli arresti e tre dalla condanna in primo grado, la Corte d’Appello ha ribaltato il verdetto. Tutti assolti: De Silvestri, Grasso, Romani, Proietti e Petrini. Già assolto in primo grado il collaboratore Simone De Marco. I giudici hanno ritenuto infondata l’accusa di associazione per delinquere e prive di riscontro le ipotesi di truffa. Nessuna prova, secondo i magistrati perugini, che dimostri l’intento fraudolento o la volontà di lucrare sulla sofferenza dei pazienti.

Le difese, affidate agli avvocati Francesco Ciabattoni, Daniele Bertaggia, Lino Ciaccio, Alberto Patarini, Manlio Morcella, Marco Gabriele, Alberto Trinchi ed Enrico Paroncilli, avevano sempre contestato l’impostazione accusatoria. Ora, la sentenza d’appello restituisce libertà piena agli imputati e cancella anche gli effetti patrimoniali: revocate le confische e le decisioni civili di risarcimento.

Una giustizia lunga e un processo che divide

Il caso “Seven To Stand” ha acceso per anni il dibattito pubblico, suscitando forti reazioni tra le famiglie dei pazienti e nel mondo scientifico. L’idea di una cura alternativa proposta fuori dai canali ufficiali aveva generato speranze, ma anche dubbi e condanne preventive. A distanza di quasi un decennio, la giustizia ha fatto il suo corso, ma non senza strascichi: è probabile che ora il caso approdi in Cassazione, ultimo grado di giudizio.

La sentenza della Corte d’Appello riafferma un principio fondamentale: il diritto penale non può fondarsi su ipotesi o suggestioni, ma su prove concrete. E in questo processo, hanno stabilito i giudici, i fatti contestati semplicemente non esistono. Una conclusione che riscrive la storia di una delle più controverse inchieste sanitarie degli ultimi anni in Umbria.

Perugia, muore per una diagnosi sbagliata: 13 medici sotto inchiesta e la famiglia non ci sta

La cronaca umbra resta scossa anche da un altro procedimento che coinvolge il settore sanitario. A Perugia, 13 medici sono finiti sotto inchiesta per la morte di una donna di 85 anni, deceduta nel 2021 a seguito di una diagnosi sbagliata. La Procura ha chiesto l'archiviazione, ma la famiglia della vittima si è opposta, ritenendo la perizia effettuata non esaustiva. Secondo i parenti, la donna avrebbe potuto essere salvata con un percorso diagnostico più accurato. Il caso è tornato in aula il 9 luglio e il giudice si è riservato di decidere sull'opportunità di una nuova perizia collegiale. Anche in questo caso, si ripropone il delicato equilibrio tra responsabilità professionale e garanzia dei diritti dei pazienti.

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Giorgia Sdei
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