C'era una volta l'Italia dei campanili, dei quaderni con le orecchie e delle scuole con la stufa a legna. C'era una volta l’Italia delle maestre che a piedi, con il grembiule sotto al cappotto, attraversavano le colline per raggiungere i bambini dei poderi. E quel tempo, che sembra lontano quanto la preistoria dell’elettricità, oggi torna in scena a Narni. Letteralmente.
Sabato 22 marzo 2025, alle ore 17, il Teatro Comunale Giuseppe Manini apre il sipario su "Sette giorni d'inchiostro", docufiction firmata da Carla Arconte e Silvia Imperi e diretta da Pietro Ciavattini. Un’opera che ripesca dalla memoria collettiva il mondo delle insegnanti di campagna, un’umanità minuta e determinante che ha attraversato il primo Novecento lasciando tracce ben più profonde di quanto si creda.
Tutto comincia da un libro di Sara Massarini, pubblicato da Edizioni Thyrus: una ricerca storica certosina sulle scuole rurali del Narnese tra il 1911 e il 1958. Un lavoro che ha meritato il Premio Anna Lizzi Custodi e che si è fatto ossatura di questo racconto filmico. Il passaggio dalla pagina allo schermo non è stato un esercizio di stile ma un atto d’amore verso un passato che rischiava di sbiadire.
La scrittura cinematografica, nelle mani di Arconte e Imperi, prende il ritmo di un viaggio collettivo. A sostenere il progetto è stata un’intera comunità: dalla consigliera comunale Francesca Agostini, che ha seguito ogni fase con tenacia, fino alla fitta rete di collaborazioni istituzionali e associative che ha messo a disposizione energie, competenze, spazi, volti.
Il film è stato girato tra le pieghe del territorio: le aule vere, i campi, il Teatro Manini stesso. Nulla di costruito, tutto restituito. Protagoniste sono le attrici della compagnia amatoriale "le Pranzarole", un nome che da solo dice già molto. Le pranzarole erano le donne che portavano da mangiare agli operai delle fabbriche narnesi. Oggi portano un'altra eredità sulle spalle: quella della narrazione popolare, della testimonianza viva, della dignità del quotidiano.
Nel cast tecnico figurano professionisti locali come Alessandro Cartosio e Fabio Tomassini per la fotografia, Fabio Tomaselli e Giorgio Speranza per l’allestimento scenico, Fulvio Antonio Rossi per il supporto tecnico. Ai costumi ha pensato la sartoria Antonella Tessuti sas. Non sono dettagli. Sono fili che tengono unito un tessuto sociale ancora capace di riconoscersi e cooperare.
Lo stesso giorno, a pochi metri dal teatro, nella sala Digi-Pas, si apre una mostra fotografica curata da Regina Paolino. A corredo anche la presentazione del volume "Scuole rurali tra Otto e Novecento. Dalla ricerca alla scena", pubblicato nella collana ESE Salento University. Un testo nato da un convegno tenutosi proprio a Narni un anno fa, sotto la direzione della professoressa Aurora Savelli dell’Università di Napoli L’Orientale, che sarà presente all’appuntamento per restituire il quadro più ampio di una riflessione che dalla provincia arriva dritta nei territori della ricerca accademica.
Le parole degli organizzatori non lasciano spazio a fraintendimenti: si tratta di un’operazione culturale radicata nel presente, che interroga la storia per comprenderne la forza e la complessità. Qui si parla di educazione, di donne, di comunità, ma soprattutto di memoria restituita con cura.
Sul fronte degli interpreti, ci sono loro: i bambini. Selezionati attraverso casting e prove, portano in scena il senso stesso dell’esperienza educativa. Non imitano, incarnano. Filippo Biagetti, Maria Sofia Antonelli, Lea Giacchetti, Teo Sbaraglia, Alessandra Graziani, Rebecca Minischietti, Edda Di Loreto, Lara Giancaspro, Leone Lucci, Simone Cardinali, Sara Appolloni, Anna Galli, Vittorio Giacchetti, Anna Scatolini, Ludovica Antonelli, Ginevra Ribiscini, Deva Leontina Maurelli, Eva Maria Mangoni, Sofia Mazzocchi, Lorenzo Belvedere: volti puliti, occhi grandi, piedi ben piantati nel presente e nel passato.
Il ringraziamento va anche alle loro famiglie e a chi ha reso possibile la magia teatrale fuori scena: il Terziere Fraporta, Toni Chiolle, Bruno Aramini. È un’opera collettiva in senso autentico, dove il talento non è solo artistico ma umano.