L’Istituto Serafico di Assisi ha portato la sua testimonianza alle Nazioni Unite in occasione della COSP18, la 18ª Conferenza degli Stati Parte della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Invitato dalla ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli, il Serafico è stato protagonista di un side-event ufficiale dedicato al diritto a una vita piena e partecipata, rappresentando un modello concreto di inclusione. “La dignità non si difende solo garantendo assistenza - ha dichiarato la presidente Francesca Di Maolo - ma si afferma quando diamo a ognuno la possibilità concreta di esprimere se stesso, di costruire relazioni, di partecipare alla vita”.
Nel corso dell’incontro, il Serafico ha portato la propria esperienza concreta di struttura capace di trasformare i principi della Convenzione ONU in percorsi di vita quotidiana. “Nel nostro lavoro quotidiano - ha aggiunto Di Maolo - traduciamo i principi della Convenzione Onu e della riforma italiana sulla disabilità in percorsi reali, costruiti intorno alla persona. Ogni percorso infatti è unico, come unica è ogni vita”.
Un messaggio che ha colpito la platea internazionale per la sua forza etica e per il suo radicamento in pratiche educative e terapeutiche avanzate, in grado di superare la mera logica assistenzialistica. “Non basta garantire cure e tutele, non è sufficiente parlare di diritti se poi non creiamo le condizioni per viverli”, ha detto ancora Di Maolo.
Un esempio tra tutti: il laboratorio di ceramica del Serafico, portato a New York come simbolo di questa visione. “Scegliere un colore, una forma, un gesto - ha spiegato la presidente - significa prendere posizione nel mondo, dire: ci sono”. Un gesto semplice che diventa dichiarazione di identità e affermazione di presenza.
L’Istituto Serafico non è nuovo a momenti simbolici. La sua storia inizia nel 1871, quando San Ludovico da Casoria, frate francescano dell’Ordine dei Frati Minori, fonda ad Assisi un centro dedicato ai bambini sordomuti e ciechi. La data della fondazione - 17 settembre - non è casuale: è il giorno in cui San Francesco ricevette le Stimmate, e non è un caso nemmeno il nome scelto, “Serafico”, che richiama proprio il Poverello di Assisi, spesso chiamato “Padre Serafico”.
Da allora sono trascorsi oltre 150 anni, e il Serafico ha saputo evolversi senza mai tradire la propria vocazione francescana: attenzione ai più fragili, ascolto, accoglienza e innovazione. Il centro oggi si estende su una superficie di 40.000 mq, di cui 10.000 coperti, immersi nel verde del Monte Subasio, a pochi metri dalla Basilica Papale di San Francesco.
Il cuore della missione del Serafico è oggi la presa in carico globale di bambini e giovani adulti con disabilità complesse, offrendo un modello che unisce riabilitazione, educazione, spiritualità e autonomia personale. I ragazzi vivono in appartamenti da sei o sette persone, strutturati per ricalcare il più possibile l’ambiente domestico: camere singole o doppie, soggiorno, cucina, servizi privati.
L’ambiente è studiato nei minimi dettagli per abbattere ogni barriera architettonica e cognitiva, favorendo un orientamento autonomo. Una vera e propria “cittadella dell’inclusione”, dove ogni spazio ha un significato educativo e relazionale.
Il Serafico ha fatto della relazione e della capacità espressiva due pilastri fondamentali del proprio metodo. Non si tratta solo di assistere, ma di mettere le persone in condizione di partecipare attivamente alla vita, secondo il principio, ribadito da Di Maolo, che “non è il limite a definire la persona, ma la sua unicità e capacità di amare, di essere amato, di esprimersi”.
L’intervento del Serafico rappresenta dunque non solo un successo per l’istituto umbro, ma anche un segnale importante per tutto il Terzo Settore italiano. Mostra che è possibile trasformare una visione inclusiva in prassi quotidiana, e che l’innovazione sociale può (e deve) fondarsi sulla persona.