Gli hanno sequestrato una villa di pregio da oltre 400 metri quadri suddivisa in 17 vani, situata a Roma e fittiziamente intestata un familiare. Valore? Un milione e mezzo di euro. La notevole sproporzione tra i redditi dichiarati e gli investimenti patrimoniali di un imprenditore di origine pugliese, ma residente da anni in Umbria, è finita sotto alla lente d’ingrandimento della Guardia di Finanza di Perugia. Così i militari a seguito delle indagini, hanno provveduto alla confisca dei beni. Oltre alla villa, all’uomo è stato sequestrato anche un motociclo di grossa cilindrata.

La discrepanza fra le operazioni immobiliari e i redditi dichiarati nel mirino della GdF

Il provvedimento è stato emesso, su proposta della Procura di Spoleto, dalla Sezione misure di prevenzione del tribunale di Perugia. A seguito delle indagini patrimoniali condotte dalla Guardia di Finanza è emerso che il patrimonio accumulato dall’imprenditore, che nella vita fa il consulente, risultava sproporzionato rispetto alla sua capacità reddituale.

In base a quanto ricostruito dai finanzieri, è emerso che nella disponibilità dell’uomo c’era la villa di cui sopra. L’immobile, seppur intestato a un familiare, è risultato acquistato con i guadagni derivanti principalmente da una delle società riconducibili all’interessato. Il Tribunale, nel corso delle diverse udienze tenutesi al riguardo, non ha ritenuto le ragioni addotte dal soggetto credibili e tali da giustificare la liceità dell’origine dei flussi di denaro impiegati per l’acquisto dei beni. Pertanto, in applicazione della normativa antimafia, ha provveduto alla confisca dei beni.

Il sequestro e i precedenti dell’imprenditore

Stando a quanto riferito dalle Fiamme Gialle, l’imprenditore è connotato da rilevante pericolosità sociale essendo stato già condannato, negli anni, per una lunga lista di reati a partire da quelli in materia di stupefacenti. L’uomo è inoltre destinatario di misure cautelari reali, emanate nell’ambito di diversi procedimenti penali, per reati tributari e societari e ancora per riciclaggio, auto-riciclaggio, trasferimento fraudolento di valori ed esercizio abusivo di attività finanziaria.

L’evidente discrepanza tra i redditi dichiarati e gli investimenti patrimoniali è stata, quindi, ricondotta all’accumulo dei presunti profitti illeciti. La gestione dei beni sottoposti a sequestro è stata ora affidata ad un amministratore giudiziario, appositamente nominato.

Ad aprile un fatto simile a Gualdo Tadino: si trattava di autoriciclaggio

In materia di reati fiscali, neanche un settimana fa, da queste pagine, davamo notizia di una maxi frode a Cannara. Qui sono stati scoperti 10 milioni di fatture false. Dietro all’ingente volume di denaro, si celava un sistema ben orchestrato su scala nazionale che farebbe capo a un imprenditore cinese. Anche in quel caso era stata la Procura della Repubblica di Spoleto a denunciare il presunto responsabile per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Lo scorso aprile era accaduto un fatto per certi versi simile, a quello dell’imprenditore pugliese, a Gualdo Tadino. Era stato sottoposto a confisca un complesso commerciale del medesimo valore della villa, un milione e mezzo di euro. Il complesso, costituito da 12 unità immobiliari e un terreno, era andato all’asta. Solo che a riacquistarlo si era presentato lo stesso destinatario del pignoramento. Una mossa che aveva immediatamente allertato la Guardia di Finanza di Perugia che dietro all’operazione aveva ravvisato un “articolato sistema”.

L’autoriciclaggio, reato già presente nei precedenti dell’imprenditore pugliese, è stato introdotto dieci anni fa nel nostro Ordinamento con la Legge 186/2014 e fa riferimento all’articolo 648 ter del Codice Penale.

Viene identificato come un reato commesso da “chiunque impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, denaro, beni o altre utilità che provengono dalla commissione di un delitto non colposo, per poter ostacolare nel concreto l’identificazione della loro provenienza delittuosa“. La pena prevista, va dai due agli otto anni di reclusione oltre a una multa da 5 mila a 25 mila euro.