L’Umbria è la casa di alcuni grandi artisti, da maestri rinascimentali come il Perugino, Benozzo Gozzoli e Berto di Giovanni, fino al moderno Alberto Burri. Ma accanto a questi giganti dell’arte, la regione è anche culla di letterati, poeti e scrittori di inestimabile valore, il cui contributo alla cultura è stato fondamentale. Molti di questi autori umbri hanno saputo raccontare l’anima del proprio territorio, lasciando un’impronta significativa nei libri di storia. Approfondiamo allora insieme le vite e le opere dei più celebri scrittori e poeti dell’Umbria, delle loro radici, del loro legame con il territorio e del perché le loro opere rimangono immortali ancora oggi.
Sesto Aurelio Properzio
Nato con ogni probabilità ad Assisi nel 47 a.C. e scomparso prematuramente intorno al 15 a.C. a Roma, Sesto Properzio fu uno dei più raffinati poeti d’amore della Roma antica, conosciuto come il “Callimaco di Roma.” Cresciuto in una famiglia di rango equestre, Properzio visse un’infanzia agiata fino alla confisca delle terre di famiglia, conseguenza della ripartizione operata da Augusto dopo la battaglia di Filippi (41-40 a.C.). Dopo la morte del padre, ancora fanciullo, si trasferì con la madre a Roma, dove fu destinato alla carriera forense, ma presto si distaccò da questo percorso, trovando nella poesia la sua vera vocazione.
Sebbene giovanissimo, già a sedici anni pubblicò il suo primo libro di poesie, un’opera che gli procurò non solo successo, ma anche un prezioso ingresso nel prestigioso circolo di Mecenate. Il legame con l’Umbria, sua terra natale, rimase però indissolubile, e i suoi versi sono permeati da immagini dei paesaggi umbri: dalle rive del Tevere ai monti dell’Etruria, dal “declive inumidito” di Mevania fino alle limpide fonti del Clitunno.
Pur avendo lasciato il mondo troppo presto, la sua eredità letteraria rimane un prezioso omaggio all’Umbria e alla poesia latina, di cui è stato – in particolare nelle sue Elegie – una delle voci più una delle voci più belle e simboliche.
Jacopone da Todi
Jacopo de Benedictis (1236-1306), noto anche come Jacopone da Todi, fu un beato della Chiesa Cattolica e una delle figure letterarie più influenti del Medioevo, celebre soprattutto per le sue laudi religiose. Proveniente da una nobile famiglia, Jacopone studiò legge e intraprese la carriera di notaio, vivendo inizialmente un’esistenza mondana. Tuttavia, la morte prematura della moglie nel 1268 – appena un anno dopo il matrimonio – rappresentò una svolta decisiva: scosso dal lutto, abbandonò il mondo, distribuì i propri beni ai poveri e visse come pellegrino per dieci anni, mantenendosi solo attraverso l’elemosina.
Nel 1278, Jacopone entrò nell’ordine francescano dei Minori come frate laico, aderendo al rigoroso ramo degli “spirituali”, caratterizzato da una critica accesa alla corruzione ecclesiastica. Questo spirito di denuncia lo portò a scontrarsi apertamente con papa Bonifacio VIII, che nel 1297 lo scomunicò e fece imprigionare. Solo nel 1303, con l’avvento di papa Benedetto XI, fu liberato e trascorse gli ultimi anni nel convento di San Lorenzo a Collazzone. Oggi, il suo corpo è custodito nella chiesa di San Fortunato a Todi.
Jacopone aveva sperimentato la vita mondana, ma la rinnegò con convinzione, giudicandola piena di vizi e priva di autentici sentimenti di amicizia, amore e solidarietà. Votò la sua esistenza a un rigore ascetico che rifuggiva tutto ciò che esaltava il corpo e i piaceri terreni. Profondamente pessimista riguardo alla condizione umana – incluso se stesso, che vedeva vulnerabile al peccato – invitava costantemente all’umiltà, alla rinuncia delle vanità e all’esaltazione di Dio.
Tra le sue opere più celebri si annoverano l’invettiva O papa Bonifazio, la lauda Donna de Paradiso, che narra la Passione di Cristo, e la straordinaria Stabat Mater, preghiera intensa e toccante che esplora il dolore di Maria durante la crocifissione del Figlio.
Sandro Penna
Concludiamo volgendo lo sguardo alla modernità, con un poeta appartato e originale che ha saputo tracciare un percorso autonomo rispetto alle correnti dominanti del Novecento.
Nato a Perugia nel 1906, Sandro Penna condusse studi irregolari fino al diploma in ragioneria. Nel 1929 si trasferisce a Roma, città in cui trascorrerà gran parte della sua vita, alternando diversi mestieri: dal commesso in libreria al commerciante di libri rari, fino al correttore di bozze. Durante gli anni Trenta, entra in contatto con figure di spicco come Eugenio Montale e collabora con alcune riviste ermetiche di rilievo, tra cui Il Frontespizio e Letteratura. È nel 1939, grazie al sostegno di Umberto Saba e Sergio Solmi, che pubblica il suo primo libro, Poesie, a Firenze. Anni dopo, nel 1957, riceve il Premio Viareggio per Le ceneri di Gramsci del suo caro amico Pier Paolo Pasolini.
Seguono altre raccolte, tra cui Una strana gioia di vivere e Croce e delizia. Nel 1970 viene pubblicata un’edizione di Tutte le poesie, che comprende gran parte della sua opera insieme a numerosi inediti. La sua vita si conclude nel 1977, in solitudine e povertà, lasciando però un’eredità letteraria straordinaria.
La poesia di Penna si distingue per la sua intensa monotematicità: l’amore, unico tema della sua opera, è trattato con costanza e autenticità. Lontano dalle consuete riflessioni esistenziali e trascendenti, Penna rappresenta l’amore nella sua immediatezza fisica, ponendo al centro delle sue poesie il desiderio omoerotico, spesso rivolto verso giovani ragazzi. Questo tratto, particolarmente raro nella letteratura italiana del Novecento, sembra richiamare piuttosto la sensibilità della poesia classica.