Tornano in piazza, questa volta con otto ore di sciopero nazionale, per reclamare ciò che ritengono un diritto negato: un contratto collettivo nazionale rinnovato, dignitoso, giusto. I lavoratori metalmeccanici dell’Umbria si ritroveranno venerdì 20 giugno in piazza Matteotti alle 9.30 per poi sfilare in corteo fino a piazza Italia, cuore istituzionale del capoluogo. È lì che prenderanno la parola Simone Liti, segretario generale Fim-Cisl Umbria, Fabrizio Balsi per la Uilm-Uil Umbria e Silvia Simoncini, dirigente nazionale Fiom-Cgil.
Non una protesta estemporanea, ma l’ennesimo atto di una mobilitazione che va avanti da mesi: 40 ore di sciopero già effettuate, adesioni altissime, presìdi davanti a Confindustria e richieste formali alle istituzioni regionali. Il nodo, mai sciolto, è il rinnovo del contratto nazionale di lavoro, scaduto da oltre un anno e mai riaperto, bloccato da un atteggiamento che i sindacati definiscono “intransigente” da parte di Federmeccanica, Assistal e Unionmeccanica-Confapi.
“Il lavoro va rispettato e tutelato” è il messaggio che attraverserà l’Italia intera nel giorno della mobilitazione nazionale. Un messaggio che, in Umbria, passa per le voci e i volti di migliaia di lavoratrici e lavoratori, esasperati da una trattativa mai decollata. I sindacati umbri, insieme alle segreterie territoriali di Perugia e Terni, chiedono alla Regione di farsi carico del problema, diventando interlocutore attivo presso il Governo e le parti datoriali.
Le richieste sono nette: salari più equi, tutele reali, contrasto alla precarietà, diritti certi. E un tavolo di trattativa degno di questo nome. Perché - come sottolineano i sindacati - “senza i metalmeccanici, non c’è futuro per il sistema industriale italiano”.
Ma lo scontro con le controparti è frontale. Federmeccanica e Assistal hanno presentato una piattaforma alternativa, che secondo Fim, Fiom e Uilm “ha generato il caos” e peggiora tutte le condizioni. Nessuna apertura sul salario, nessuna norma per regolare i contratti precari, nessuna tutela nei cambi di appalto, né riconoscimenti per conciliare lavoro e vita privata. La contrattazione, di fatto, è ferma al palo.
Già lo scorso gennaio, l’Umbria era stata tra le regioni con l’adesione più alta allo sciopero: punte dell’80% nelle aziende del comparto. Un segnale forte, che però non ha prodotto alcuna inversione di rotta da parte delle associazioni datoriali. Da qui la decisione di proclamare ulteriori 8 ore di sciopero nazionale per venerdì 20 giugno.
Un passo necessario, dicono i sindacati, per superare l’impasse e costringere le controparti a tornare al tavolo. “Respingiamo la provocazione ricevuta - ha dichiarato la triade sindacale -. Vogliamo un lavoro di qualità, salari dignitosi, sicurezza e parità di diritti”.
La partita non riguarda solo le sigle e i tavoli tecnici. Ha implicazioni economiche e sociali ben più ampie, in una regione - l’Umbria - dove il manifatturiero è colonna portante dell’economia e dove il futuro occupazionale è strettamente legato alla tenuta della contrattazione collettiva.
Per questo, il corteo del 20 giugno non sarà solo una sfilata. Ma l’espressione concreta di una vertenza collettiva che interroga le istituzioni, chiama in causa le imprese e chiede attenzione da parte dell’opinione pubblica. E che, nel silenzio delle controparti, continua a parlare nelle piazze.