La Festa dei Ceri 2025 si è conclusa con la forza della fede e della memoria condivisa. Dopo la corsa, l’abbraccio tra i Capodieci, la fatica sulle spalle e la gioia negli occhi, la città si è raccolta nella Basilica di Sant’Ubaldo, in cima al Monte Ingino, per ascoltare le parole intense e accorate del Vescovo Luciano Paolucci Bedini.
Davanti a una Basilica gremita, colma di ceraioli, famiglie, autorità e pellegrini, Monsignor Paolucci Bedini ha pronunciato un’omelia che ha toccato i cuori e lasciato il segno. Un discorso di pace, di servizio e di speranza, che ha dato voce al sentimento profondo di una comunità ancora una volta radunata nel nome del suo Santo.
L’omelia è iniziata con un pensiero dedicato a chi, nel corso dell’anno, ha lasciato la vita terrena:
“Siamo venuti dalla città su per gli stradoni fino al monte portando l’omaggio dei Ceri, e chi dal cielo per la prima volta ha vissuto questa grande Festa, perché sono gli amici che ci hanno lasciato nel corso di questo ultimo anno, ma che sicuramente hanno preso parte alla nostra gioia.”
È stata una Festa affollatissima, nonostante il giorno infrasettimanale. Un pubblico numeroso ha assistito all’Alzata dei Ceri in Piazza Grande, alla corsa urbana e alla salita serale al Monte. Tantissima gente anche in Basilica, in un momento che ha suggellato l’intera giornata.
La Corsa 2025 è stata vissuta con grande intensità e passione. Indimenticabile il tratto di Corso Garibaldi, definito da molti ceraioli come “spettacolare” per velocità e intensità. Rapida e potente anche la salita serale al Monte Ingino, segnata però dalla caduta del Cero di Sant’Ubaldo in via XX Settembre, poi riscattata dal trionfo finale con la chiusura della porta della Basilica in 10 minuti e 4 secondi.
Festeggiatissimi, alla fine, i Capodieci 2025:
Giuseppe Piccioloni per Sant’Ubaldo,
Giuliano Baldelli per San Giorgio,
Mattia Martinelli per Sant’Antonio,
affiancati dai capocetta Valerio Nicchi, Andrea Bellucci e Matteo Bartolini.
Applausi e riconoscimenti anche per i Capitani: Fabio Latini (Primo Capitano), Oliviero Baldelli (Secondo Capitano), accompagnati dall’alfiere Marcello Cacciamani e dal trombettiere Marco Tasso.
Nelle sue parole, il Vescovo ha tracciato il senso profondo della salita al Monte: un cammino fisico ma anche spirituale, che affonda le radici nel cuore della città e della sua storia:
“Noi siamo saliti qui sempre con la solita fiducia, di sapere che qui c’è una casa che ci accoglie e un padre che ci abbraccia e ci conosce.”
Il centro dell’omelia è stato un accorato appello alla speranza, più che mai urgente in questi tempi difficili:
“Quest’anno vogliamo chiedere a Sant’Ubaldo un aiuto particolare, quello di riuscire a custodire in noi e risvegliare in noi la speranza, perché abbiamo bisogno di speranza per tante cose.”
Una speranza che deve tradursi in pace, non solo nelle grandi questioni internazionali, ma nella vita quotidiana, nei rapporti tra vicini, nelle famiglie, nei cuori:
“Chiediamo a Sant’Ubaldo di sperare nella pace nel mondo, però aiutaci prima di tutto a viverla tra di noi, la pace nelle nostre case, nelle nostre famiglie, perché possiamo essere davvero il tuo popolo santo.”
Il Vescovo ha poi esteso il suo pensiero a chi è nel dolore:
“Ti chiediamo di avere tanta speranza per chi tra di noi sta faticando tanto, chi soffre, chi è ammalato, chi è solo, perché solo tu puoi riempirci il cuore di fiducia e puoi darci anche la forza di farci vicini a questi nostri fratelli e sorelle che hanno bisogno.”
E non è mancato un forte richiamo alla partecipazione civica, alla responsabilità collettiva: “Ti chiediamo Ubaldo, di risvegliare la speranza nel nostro partecipare alla vita cittadina, nell’essere tutti al servizio gli uni degli altri, perché questo territorio possa essere benedetto ancora una volta dal tuo nome.”
Infine, l’appello più profondo, rivolto al cuore della fede cristiana:“Aiutaci anche a non dimenticarci che al centro della tua vita c’era la fede in Gesù nostro Signore, tuo fratello e nostro salvatore. Scuoti la nostra fede, perché torni a essere fruttuosa, generosa e contagiosa.”
Un omaggio, quello di Monsignor Paolucci Bedini, che ha saputo unire il linguaggio dell’anima a quello della vita concreta, portando il senso della Festa oltre il rituale, dentro la quotidianità dei suoi figli.
Terminata l’omelia e dopo i canti, i ringraziamenti e gli abbracci in Basilica, i Ceri hanno dato vita all’ultimo momento rituale: la discesa in processione dei Santi dalla Basilica fino a Gubbio.
In testa alla processione, il Sindaco Vittorio Fiorucci con la fascia tricolore e la Banda Musicale di Gubbio, seguiti dalle statue dei tre Santi, dai ceraioli, dai familiari, dalle autorità e da una folla ancora commossa.
Lungo la discesa, molte persone hanno atteso con pazienza per assistere a uno dei momenti più mistici e intimi della Festa, quello in cui i santi tornano in città “non portati a spalla ma nel cuore”, come ha detto un giovane ceraiolo lungo il percorso.
Il corteo ha raggiunto la Chiesetta dei Muratori, dove il Cappellano della Festa, don Mirko Orsini, ha impartito la benedizione finale. Un gesto semplice, ma carico di significato: è lì che si chiude simbolicamente il cerchio della Festa, tra il monte e la pietra, tra cielo e mestiere.
“Che questa benedizione – ha detto don Orsini – accompagni la nostra vita fino al prossimo 15 maggio, e che ogni passo sia pieno di gratitudine per quello che oggi abbiamo vissuto insieme.”
La Festa dei Ceri 2025 resterà scolpita nella memoria per l’emozione della corsa, la partecipazione straordinaria, la caduta e il riscatto di Sant’Ubaldo, ma soprattutto per le parole vibranti del Vescovo, che hanno restituito alla città il senso più profondo di ciò che significa “essere popolo”.
Un popolo che sa portare, che sa gridare, che sa abbracciare… e che, alla fine, sa scendere dal monte con lo sguardo rivolto alla speranza.