Sono accusati di aver alimentato illegalmente i cinghiali nei boschi di San Venanzo, utilizzando bidoni equipaggiati con dispositivi elettromeccanici in grado di rilasciare automaticamente, a orari prestabiliti, semi di mais. Da questa pratica illecita è scaturita la denuncia da parte dei carabinieri forestali di San Venanzo e Allerona nei confronti di sette cacciatori, appartenenti a due squadre specializzate nella caccia al cinghiale.

La scoperta del foraggiamento illecito e l’intervento congiunto dei due reparti della Forestale

Stando a quanto riferito dagli investigatori, i bidoni sono stati rinvenuti sospesi a rami in due distinte aree all’interno dello stesso distretto di caccia, ma collocate in settori separati. Una delle due zone si trova adiacente all’area naturale protetta “Elmo-Melonta”. Entrambe le aree fanno parte dei settori di caccia assegnati alle squadre coinvolte nell’operazione.

Gli investigatori hanno accertato che l’obiettivo dei bidoni era quello di attirare e favorire la proliferazione dei cinghiali all’interno dei settori di caccia. L’indagine ha portato all’identificazione di sette cacciatori, i quali, in diverse giornate e orari, si occupavano di monitorare e regolare il funzionamento dei meccanismi elettromeccanici dei bidoni, rifornendoli regolarmente di mais. Oltre a ricaricare i contenitori con il mais, provvedevano anche a spargere granelli nei pressi e a sostituire le batterie dei meccanismi, garantendo il regolare foraggiamento della fauna.

Il foraggiamento dei cinghiali: le disposizioni legali e le conseguenze delle violazioni

Come sottolineato dai Carabinieri Forestali, il foraggiamento della fauna selvatica è una pratica espressamente vietata dalla legge e sanzionata come reato. Questo divieto è stabilito dalla legge n. 221 del 28 dicembre 2015, entrata in vigore il 2 febbraio 2016, con il titolo “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo delle risorse naturali.”

In caso di violazione, la legge prevede una sanzione conforme all’articolo 30, comma 1, lettera l), della legge n. 157 del 1992, che stabilisce per i trasgressori una pena detentiva da 2 a 6 mesi o un’ammenda che va da 500 a 2.000 euro.