È una Samanta Togni che si racconta con la voce ferma e senza filtri quella che Angelo Madonia ha ospitato nel suo podcast. L’ex star di "Ballando con le stelle" non ha girato intorno alle parole: maternità, ritiro, solitudine, ritorno. Un copione che nel mondo della danza spesso non prevede scene di recupero. O balli, o cresci tuo figlio. Togni ha deciso di fare entrambe le cose, riscrivendo le regole con le sue gambe stanche ma ostinate.
"Avevo smesso di ballare, mi sono dedicata per quasi due anni a mio figlio. Poi ho deciso di riprendere. Nessuno ci credeva", racconta nel podcast. Parla di Edoardo, oggi 23enne, che all’epoca era solo un bambino. Le scarpe da ballo, dopo tanto tempo, erano diventate un corpo estraneo. "Solo rimetterle era un trauma, un dolore che non ti dico". A crederci, in quel momento, era solo lei. Nessuno l’ha aiutata. "Andavo in sala da sola, lasciavo mio figlio a mia madre e mi allenavo. Facevo tecnica, cercavo di riprendere padronanza del mio corpo".
Il mondo della danza non fa sconti. Anzi, tende a chiudere le porte con discrezione brutale. "All’epoca una mamma ballerina non era considerata. Una volta che diventi madre, basta. Sei fuori". Samanta Togni ha continuato, testarda. E alla fine ce l’ha fatta. Dopo le prime gare è arrivata la chiamata di Ballando con le stelle. Il resto è televisione.
Nel podcast si entra anche nel cuore dell’organizzazione sportiva e culturale che regola il settore. "Il Coni ha lavorato tanto per spacchettare le carriere: maestri da una parte, giudici dall’altra, ballerini in un’altra categoria ancora. Ma questa suddivisione è sempre esistita. La ballerina fa la ballerina. Quando smette, può fare altro". Eppure, questa compartimentazione è spesso una gabbia più che una guida. Togni lo dimostra con il suo percorso intrecciato: ballare, insegnare, crescere, partecipare, resistere.
"La danza è la colonna sonora della mia vita", dice. E ci torna con un ricordo che sa di infanzia e stoffa cucita a mano: "La mia prima esibizione l’ho fatta a tre anni e mezzo. Mia nonna mi aveva cucito un vestitino verde. Era un saggio di polka. Sono caduta, mi sono rialzata e ho continuato". Un’immagine perfetta del suo percorso: inciampi, scrollate, e avanti.
Ricominciare non è mai un atto neutro. Richiede forza fisica, certo, ma anche una robustezza interiore che non sempre si può allenare. Samanta Togni ha dovuto affrontare la solitudine, la diffidenza e l’isolamento del settore. Nessun incoraggiamento, nessun sostegno, solo il rumore vuoto della sala prove e un figlio da crescere. Eppure, ha insistito. Ha provato, ha faticato, ha stretto i denti.
Molti parlano di rinascita come se fosse una parola facile. Non lo è. Togni non ha trovato una porta aperta: ha dovuto costruirne una. E quando l’ha attraversata, non si è limitata a tornare: ha riscritto le regole con la sua storia, portando in scena la possibilità concreta di essere più cose insieme. Non serve essere un prodigio. Serve resistenza. Serve crederci. Anche quando nessuno scommette su di te.