Dal 7 al 10 novembre la Cattedrale di Città di Castello esporrà la più grande fra le opere dell’illustre concittadino Alberto Burri. Si tratta del “Sacco” realizzato nel 1969 come fondale scenografico per il primo atto del dramma di Ignazio Silone “L’avventura di un povero cristiano“. Di dimensione imponenti, con oltre 70 metri quadrati di superficie (7,4 per 9,5 metri), l’opera assolverà a una nuova funzione, non più legata allo spettacolo, bensì alla fede. L’occasione è infatti la celebrazione dell’ottocentesimo anniversario delle stimmate di San Francesco d’Assisi che le ricevette nel settembre 1224 ricevette sul monte La Verna.

Un’opera immensa per due importanti eventi

Il grande “Sacco” di Burri verrà esposto nell’abside della Basilica Cattedrale e farà da fondale a due importanti appuntamenti in programma per sabato 9 e domenica 10 novembre. L’evento vede la collaborazione tra la Diocesi tifernate e la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri. Tra riflessioni e musica, costituirà anche l’occasione per individuare inedite affinità tra la vita del Poverello e quella dell’artista di Città di Castello. L’opera di Burri potrà essere ammirata, gratuitamente, dalle ore 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00 da giovedì 7 a domenica 10 novembre.

Francesco e Burri. Una povertà regale” è il titolo della conferenza di sabato 9 novembre alle ore 11. Interverranno mons. Luciano Paolucci Bedini, vescovo della diocesi di Città di Castello, mons. Nazzareno Marconi, presidente della Conferenza Episcopale Marchigiana, Bruno Corà, presidente della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, il Maestro Stefano Ragni, critico musicale e fra Giuseppe Magrino, maestro emerito della Cappella Musicale della Basilica Papale di San Francesco di Assisi, autore dell’Oratorio “La Stimmate”.

Domenica 10 novembre alle 17 la Basilica Cattedrale ospiterà poi il Concerto in onore dei Santi Patroni Florido e Amanzio, “Le Stimmate”, oratorio per soli, coro e orchestra composto, nel 1997, da fra Giuseppe Magrino ed eseguito, per la prima volta, dalla Schola cantorum “Anton Maria Abbatini” e dalla Oida – Orchestra instabile di Arezzo.

Bruno Corà: “Il sacco emblema di una povertà riscattata”

La nota di Bruno Corà, presidente della Fondazione Palazzo Albizzini, amico di Burri e massimo esperto della sua arte, aiuta a capire in profondità come l’opera che sarà esposta si ponga in continuità con quella povertà francescana che nell’arte del Novecento ha trovato anche massime declinazioni artistiche.

L’opera – scrive Corà in relazione al “Sacco” -, dall’evidente impianto spaziale cruciforme, è esponente di rilievo tra le invenzioni pittoriche più note di Burri, quella dei ‘Sacchi’, in cui strappi del tessuto ricuciti, rammendi ed altre tracce di ‘vissuto’ e riuso di quel materiale, lo hanno reso emblematico di una povertà riscattata dalla qualificazione della forma e dagli equilibri spaziali ricavati in essa dall’artista, fino all’esito di assurgere a opere d’arte“.

Ed entra quindi nel vivo di quella povertà che in tanti artisti, si è fatta scelta estetica. “Una indimostrabile ma riaffiorante relazione sembra potersi scorgere tra la povertà abbracciata da Francesco, quale virtù ‘regale’ per una vita di rinuncia e di edificazione spirituale che lo ha avviato alla santità e altre manifestazioni di pauperitas che nella storia della cultura e nell’arte italiana sono emerse nel corso del tempo, quasi segno di una ‘condizione originale non subita, ma eticamente assunta‘”.

Il grande “Sacco” di Burri, dal dramma di Silone su Celestino V alle celebrazioni francescane

Ma non è ancora tutto. Il grande “Sacco” di Burri, come anticipato, era stato originariamente inserito quale scenografia per il dramma di Silone. Un testo che affronta il tema del rapporto fra uomo e chiesa, qui riproposto nella vicenda di papa Celestino V, passato alla storia come il pontefice del “gran rifiuto”. Nonostante Dante non gli avesse mai perdonato la precoce abdicazione, tanto da metterlo all’Inferno tra gli ignavi, Pietro del Morrone con la sua vocazione eremitica, fu un esempio di vita francescana, scegliendo, proprio come il Poverello, di andare contro corrente. Il fatto che Burri prestò la sua arte per l’opera teatrale di Silone è un’ulteriore conferma di quanto la sensibilità dell’artista fosse vicina alla figura del Santo di Assisi.