Nell’arco di 23 anni in Umbria non esisterà più Poggiodomo: stessa sorte toccherà ad Acquasparta fra circa sessant’anni, addio a Piegaro tra 80; molti comuni umbri sono a rischio estinzione se prosegue il trend negativo riguardante gli indici di natalità e mortalità, se non intervengono terapie d’urto per frenare lo spopolamento. Lo scenario tracciato dall’indagine di Report (2022 sulle città in estinzione), può essere riproposta in 92 comuni dell’Umbria.

A fare questa proiezione è stata la redazione di Nuove Rigenerazioni Umbria che ha riportato l’elaborazione dei numeri sul calo della popolazione e il rischio estinzione nei comuni registrato nell’ultimo decennio. “Estratta la media annuale, questa diventa il divisore di un’operazione quanto mai semplice, il numero degli abitanti rilevata dall’ultimo censimento diviso il calo medio; la cifra che ne scaturisce indica la prospettiva di vita che rimane a quella comunità”.

Questa, in pratica la modalità usata nell’analisi-gioco dello statistico Roberto Volpi, da cui emerge che i comuni umbri che spariranno nei prossimi 100 anni sono 24. come detto, il primo ad andare incontro a questa sorte è Poggiodomo, che nel 2020 ha registrato 94 abitanti, oggi sceso a 92. Seguono Paciano, Parrano, Acquasparta, Costacciaro, Vallo di Nera, Valtopina, Arrone, Monteleone di Orvieto, Polino, Sellano, Piegaro, Gualdo Cattaneo, Castel Viscardo. Fabbro, Calvi dell’Umbria, Avigliano Umbro, Marsciano, Otricoli, Panicale, Nocera, Nocera Umbria e Montegabbione.

Tra 200 anni si estingueranno altri 35 comuni

La proiezione elaborata va oltre, prende in esame anche quanti comuni spariranno nell’arco di 200 anni, saranno altri 35 quelli a rischio estinzione. Ecco quali sono, Cerreto di Spoleto 100 anni residui, San Venanzo 101, Allerona 102, Todi 104, Cascia 106, Valfabbrica 106, Pietralunga 107, Montecastrilli 108, Gualdo Tadino 108, Scheggia e Pascelupo 109, Sigillo109. Castel Ritaldi 109. Monteleone di Spoleto 112, Massa Martana 119, Monte Santa Tiberina 122, Montecchio 122, Norcia 122, Preci 125, Alviano 129, Campello sul Clitunno 133, Stroncone 133, Ferentillo 135, Narni.139, Baschi 140, Castelgiorgio 147, Bevagna 149, Gubbio 149, Ficulle 150 e Guardea 160.

C’è anche chi persegue una tendenza opposta. In Umbria sono tre i comuni in buona salute demografica, Attigliano, Torgiano e Corciano. Qui la popolazione è in crescita, in particolare a Corciano, dal 2011 al 2020 gli abitanti sono cresciuti di ben 2.387 unità. Perugia, capoluogo di regione è destinata a sparire nell’arco di 242 anni. C’è ancora tempo, il doppio di quanto rimane da vivere a Venezia: l’analisi prevede non più di 133 anni.

Catania, tra le città italiane a rischio estinzione

Comunque nella classifica delle città più a rischio nel resto d’Italia, ci sono Catania, sessant’anni ancora di sopravvivenza, Firenze 61, Taranto 70, Reggio Calabria 74, Palermo 77, Torino 79 e Genova 79. Fa eccezione a livello nazionale Bolzano.

Per macroaree il Mezzogiorno si spopolerà di più e più alla svelta, certe realtà terranno meglio come il triangolo Milano, Monza, Varese, che ha una densità di popolazione come quella del Bangladesh e ha una doppia capacità attrattiva sia verso l’esterno sia verso le altre regioni.

Secondo Linda Laura Sabbadini, Direttrice Centrale dell’Istat, la situazione demografica rappresenta un problema strutturale che incide pesantemente sul buon funzionamento della società. Il problema è stato trascurato per troppi anni e ha creato costi economici e sociali significativi. Secondo le previsioni dell’Istat, la popolazione italiana diminuirà da 59 milioni a 57,9 milioni nel 2030 e a 54,2 milioni nel 2050.

Aumento significativo della popolazione anziana in Italia

La popolazione anziana aumenterà di 12 punti percentuali in 30 anni, mentre la popolazione in età lavorativa diminuirà di 9 milioni di persone. Questo crea difficoltà nello sviluppo e nell’innovazione del paese. Secondo Sabbadini, il problema della bassa natalità è dovuto a un cambiamento culturale che ha portato a considerare i figli come una scelta che impedisce il perseguimento di altri obiettivi nella vita.

La Francia ha affrontato una situazione simile negli anni ’60 e ha ottenuto risultati positivi grazie a politiche mirate. In Italia il problema è stato causato da una gestione inadeguata da parte dei governi e dall’assenza di politiche per risolvere le sfide della divisione del lavoro asimmetrica per le donne e dei servizi di supporto alla maternità e paternità. Anche risolvendo il problema della fecondità, si avrebbe comunque bisogno di aspettare almeno 25 anni per avere una popolazione adulta in grado di sostenere le pensioni degli anziani. Sono necessarie politiche di lungo periodo che creino fiducia nelle nuove generazioni, affinché si sentano incoraggiate a fare figli.