Una causa persa e 45mila euro sfumati: per la Corte dei Conti dell’Umbria non è l’Inps a dover ricalcolare d’ufficio l’assegno ai superstiti quando cambiano i redditi. Senza una comunicazione formale del beneficiario, infatti, gli arretrati oltre il quinquennio non si recuperano. Un caso, quello della pensionata umbra, che accende i riflettori su un passaggio spesso ignorato, ovvero informare tempestivamente l’ente delle variazioni che incidono sulla pensione di reversibilità.
La vicenda riguarda una donna pensionata che percepisce la reversibilità dal 1990, dopo la morte del coniuge. Per decenni l’assegno è rimasto fermo a 573 euro mensili. Solo nel marzo 2023, dopo essersi presentata a uno sportello Inps, la donna ha firmato la domanda di rideterminazione e si è vista riconoscere un importo di 1.230,74 euro, con il pagamento degli arretrati limitati ai cinque anni precedenti.
Da qui ha inizio il contenzioso: assistita dall’avvocato Angelo Ranchino, la ricorrente ha sostenuto che l’ente avrebbe dovuto aggiornare automaticamente la prestazione fin dal 31 luglio 2010 (data del suo pensionamento), dato che dalle dichiarazioni dei redditi risultava la cessazione dell’attività lavorativa, e ha chiesto un risarcimento di quasi 45mila euro.
La Sezione giurisdizionale umbra ha respinto il ricorso. Nella motivazione il giudice monocratico per le pensioni chiarisce che il sistema non prevede un obbligo per l’Inps di procedere automaticamente al ricalcolo della reversibilità attingendo ai dati fiscali (730 o modello Redditi). Al contrario, è il titolare della prestazione a dover attivarsi e segnalare le variazioni che possono modificare l’importo. In sentenza si legge che era onere della pensionata comunicare “il verificarsi di qualsiasi evento che comporti variazione della misura della pensione”. Respinta anche l’invocazione del legittimo affidamento: l’assenza di iniziative d’ufficio da parte dell’amministrazione non genera il diritto a percepire quanto non richiesto per tempo.
Un punto centrale è il termine di prescrizione di cinque anni dei ratei pensionistici non liquidati o liquidati in misura inferiore. Superato quel limite, il credito si estingue. È per questo che, pur avendo ottenuto il ricalcolo, la ricorrente non ha potuto recuperare somme anteriori al 2018: gli arretrati sono stati liquidati solo per il quinquennio precedente la domanda del 2023. La Corte ha quindi dato ragione all’Inps anche sulla questione della prescrizione, riconoscendo la correttezza della linea difensiva secondo cui gli importi più risalenti erano ormai estinti.
La sentenza non introduce nuove regole, ma rende espliciti due principi operativi già presenti nell’ordinamento:
L’effetto pratico è netto: ritardare la comunicazione può comportare perdite economiche significative, senza possibilità di recupero oltre il quinquennio.
Il caso umbro mette in luce un problema ricorrente nei rapporti tra utenti e pubblica amministrazione: norme tecniche, scarsa consapevolezza degli obblighi e aspettative di automatismi che la legge non prevede. La decisione della Corte dei Conti dell’Umbria fa chiarezza su ruoli e responsabilità: il primo presidio dei propri diritti resta l’attenzione del cittadino, mentre agli enti è affidato il compito – non giuridico ma sostanziale – di comunicare in modo più capillare le scadenze e gli adempimenti, soprattutto alle fasce più fragili.