Un’Italia chiamata alle urne per decidere sul lavoro e sull’identità. Una giornata importante, potenzialmente storica, che però rischia di passare sottotraccia, almeno a giudicare dai primi dati sull’affluenza. In Umbria, alle ore 12, meno del 7% degli elettori si è recato ai seggi per i cinque quesiti referendari, con percentuali comprese tra il 6,71% e il 6,76%.
Una soglia che, sebbene in linea con i dati nazionali, fa riflettere sull’interesse - o forse disinteresse - dell’opinione pubblica su temi che toccano profondamente la struttura sociale del Paese: dalle tutele nei contratti di lavoro, alla responsabilità in caso di infortuni, fino al diritto alla cittadinanza per gli stranieri residenti.
I referendum in corso riguardano quattro quesiti abrogativi su norme in materia di lavoro, due delle quali introdotte dal Jobs Act nel 2016, e uno sulla legge per l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di stranieri residenti in Italia.
I quattro quesiti sul lavoro - che chiedono l’abrogazione di norme ritenute penalizzanti per i lavoratori - sono stati promossi dalla CGIL tramite una raccolta firme che ha superato i quattro milioni di sottoscrizioni. Gli ambiti toccati sono:
Il quinto quesito, invece, punta a modificare la legge sulla cittadinanza italiana per i residenti stranieri, ed è stato promosso da una coalizione eterogenea di soggetti tra cui +Europa, Possibile, Radicali, PSI, Rifondazione Comunista, insieme a numerose realtà della società civile. Le firme raccolte in questo caso sono state oltre 637mila.
In Umbria, secondo i dati ufficiali forniti dal portale del Ministero dell’Interno, Eligendo, alle ore 12 si registra una partecipazione molto bassa:
Il dato del quesito sulla cittadinanza, al momento, è in linea con questi numeri, anche se le rilevazioni complete arriveranno in serata. In generale, la partecipazione appare modesta in quasi tutti i comuni umbri, con qualche picco isolato nelle zone universitarie come Perugia e Terni, grazie anche alla nuova possibilità introdotta per gli elettori fuori sede. Per la prima volta, infatti, chi si trova fuori dal proprio comune di residenza per motivi di studio, lavoro o salute da almeno tre mesi, ha potuto richiedere di votare in un seggio temporaneo nella località in cui si trova. Una novità introdotta per favorire la partecipazione, soprattutto dei più giovani.
Una misura che rappresenta un passo avanti nel riconoscere le mutate dinamiche sociali e lavorative, ma che evidentemente non è bastata - almeno finora - a contrastare la disaffezione al voto, storicamente elevata quando si tratta di referendum abrogativi.
Come prevede la legge, affinché i referendum siano validi, è necessario che venga raggiunto il quorum del 50% + 1 degli aventi diritto al voto. Una soglia difficile da raggiungere, anche alla luce dei precedenti storici. Negli ultimi vent’anni, soltanto in rare occasioni i referendum hanno superato il quorum.
Tutti gli elettori devono presentarsi al proprio seggio muniti di un documento d’identità valido e della tessera elettorale. Chi non fosse in possesso della tessera, l’avesse smarrita o avesse esaurito gli spazi disponibili per i timbri, può richiederne una nuova rivolgendosi all’ufficio elettorale del proprio comune di residenza, anche durante le ore di apertura straordinaria previste per l’occasione.
È garantito il voto a domicilio per gli elettori affetti da gravi infermità e impossibilitati ad allontanarsi dalla propria abitazione: in questi casi è necessario inviare al comune una richiesta scritta, corredata da certificato medico dell’ASL e copia della tessera elettorale.
Gli elettori fisicamente impediti, invece, possono farsi accompagnare in cabina da una persona di fiducia, a patto che quest’ultima sia regolarmente iscritta nelle liste elettorali. Queste modalità rappresentano strumenti fondamentali per assicurare l’accesso al voto a tutte le fasce della popolazione, in nome di un principio di eguaglianza democratica.