09 May, 2025 - 12:05

Quando Leone XIV era solo padre Prevost tra le agostiniane di Sigillo. La visita nel 2006.

Quando Leone XIV era solo padre Prevost tra le agostiniane di Sigillo. La visita nel 2006.

Nel cuore dell’Umbria, incastonato tra i boschi del Monte Cucco e gli echi medievali delle valli umbre, sorge Sigillo, un piccolo comune in provincia di Perugia. Conta poco meno di 2000 abitanti, eppure nel 2006 divenne — quasi senza clamore — tappa silenziosa di un pellegrinaggio privato. Il visitatore era padre Robert Francis Prevost, allora Superiore Generale dell’Ordine di Sant’Agostino, oggi eletto al soglio pontificio con il nome di Papa Leone XIV.

Non c’erano giornalisti, non c’erano fotografi. C’erano solo le Suore Agostiniane di Clausura, il piccolo monastero di Sant'Anna che da secoli mantiene viva la spiritualità agostiniana. E c’era lui, un uomo di Chiesa attento, discreto, profondamente umano, che in quell’incontro lasciò un segno che oggi — a distanza di quasi vent’anni — acquista un valore profetico.

Una visita silenziosa, ma non casuale

Nel 2006, padre Prevost era nel pieno del suo secondo mandato come Priore Generale dell’Ordine Agostiniano, una responsabilità che lo portava in tutto il mondo: dalle grandi capitali ai villaggi rurali, dalle università teologiche alle case di formazione nei luoghi più difficili. Eppure, in quell’occasione, scelse di fermare i suoi passi a Sigillo, per visitare in forma del tutto privata una piccola comunità di religiose spesso dimenticata dal clamore e dall’attenzione della Chiesa istituzionale.

Non fu un atto protocollare, né un evento programmato con secondi fini. Fu un gesto di cura fraterna, di attenzione pastorale verso le realtà che, nella loro apparente marginalità, sono in realtà il cuore pulsante della vita contemplativa della Chiesa. Le Sorelle non mancarono di fargli dono dei "funghetti dolci", una ricetta antica con anice e pasta di mandorle custodita nei secoli nel monastero.

Sigillo: un piccolo borgo, una grande tradizione

Il convento di Sigillo custodisce una presenza spirituale silenziosa, ma tenace. Le suore agostiniane vivono secondo la Regola di Sant’Agostino, tra preghiera, lavoro e vita fraterna. In un mondo sempre più rumoroso, la loro esistenza nascosta è una testimonianza radicale della centralità di Dio nella vita cristiana.

E proprio questo silenzio attirò l’attenzione del futuro Papa. Padre Prevost sapeva bene che non esistono comunità “piccole” nella Chiesa, ma solo fratelli e sorelle da custodire, visitare, accompagnare. Il fatto che un Superiore Generale abbia dedicato tempo e cuore a un luogo così periferico, dimostra una visione ecclesiale non centralizzata, ma incarnata.

Un pastore universale con lo sguardo sulle periferie

Quella visita, oggi, dice molto di come Leone XIV concepisce il ministero pastorale. Non come gestione del potere, ma come cura concreta delle anime, a partire da quelle meno visibili. È lo stile che lo ha contraddistinto anche negli anni successivi, quando da superiore passò a missionario e vescovo in Perù, servendo per oltre un decennio nella diocesi di Chiclayo.

La sua esperienza in America Latina — lontana dai riflettori, immersa nei bisogni reali di un popolo segnato da povertà e fede profonda — si intreccia perfettamente con lo spirito che lo condusse a Sigillo. Nessuno è troppo piccolo per non essere visitato. Nessuna realtà è troppo periferica per non meritare attenzione.

La formazione e il cammino verso Roma

Robert Francis Prevost è nato nel 1955 a Chicago, da una famiglia di origini francesi, spagnole e italiane. Dopo una laurea in matematica alla Villanova University, entrò negli Agostiniani nel 1977 e fu ordinato sacerdote nel 1982. Studiò a Roma, dove conseguì la licenza e il dottorato in diritto canonico presso il Pontificio Istituto di San Tommaso d’Aquino.

Fu missionario in Perù per tredici anni, poi eletto Superiore Generale degli Agostiniani nel 2001, carica che mantenne fino al 2013. Rientrato in America Latina, fu nominato vescovo di Chiclayo nel 2014 da Papa Francesco e, nel 2023, Prefetto del Dicastero per i Vescovi. Papa Francesco lo creò cardinale nello stesso anno.

Questo cammino, segnato da fedeltà, discrezione e concretezza, ha portato il Collegio dei Cardinali a sceglierlo come 267º Pontefice, primo nella storia a provenire dagli Stati Uniti, con il nome di Leone XIV.

Il significato di una scelta: “Leone”

La scelta del nome pontificale richiama inevitabilmente la figura di Leone XIII, Papa della Rerum Novarum, dell’impegno sociale e del dialogo con il mondo moderno. Anche Leone XIV, come dimostrano i primi gesti e le prime parole, sembra voler coniugare fedeltà alla dottrina con attenzione alle sfide del presente, senza perdere il contatto con le comunità semplici, oranti, periferiche.

Sigillo, in questo senso, è simbolo e profezia. Un piccolo borgo umbro che ha conosciuto il tocco premuroso di un uomo oggi diventato guida universale della Chiesa. Un seme nascosto, che oggi mostra i suoi frutti.

“Pastore delle anime, non solo dei popoli”

Chi lo ha conosciuto racconta di un uomo sobrio, ascoltatore, presente. Che non ama apparire, ma esserci. La sua elezione a Pontefice non nasce da strategie o campagne, ma da una fiducia costruita con la testimonianza quotidiana. La visita alle suore di Sigillo è un esempio perfetto di questa postura interiore: non si visita per calcolo, ma per amore.

Un ricordo che parla al presente

Oggi, quelle stesse suore pregano per il nuovo Papa. E forse custodiscono ancora, in qualche diario, la memoria di quell’incontro inaspettato, fatto di sguardi, parole semplici, benedizioni sussurrate. Nulla di spettacolare. Ma profondamente evangelico.

La grandezza di un Pontefice, in fondo, non si misura dal numero di folle che raccoglie, ma dalla capacità di ricordarsi dei piccoli. E se Leone XIV ha iniziato così il suo cammino, c’è da credere che la sua sarà una Chiesa che guarda il mondo, ma a partire dal basso. Dai  fratelli più nascosti.

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Mario Farneti
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