Per la prima volta in Italia, un detenuto si è visto riconoscere il diritto a un incontro intimo con la propria compagna, lontano dagli occhi indiscreti della polizia penitenziaria. Teatro di questa rivoluzione carceraria è Terni, dove il tribunale di sorveglianza di Spoleto ha imposto alla struttura di adeguarsi.
E così nasce la tanto chiacchierata "stanza dell’amore", un'area dedicata agli affetti dei reclusi, che sancisce un cambio di passo epocale nella gestione della vita dietro le sbarre. Una decisione che ha trovato eco anche a Parma, confermando che qualcosa, nei meccanismi della giustizia, sta cambiando.
Le direzioni carcerarie avevano fatto muro, ma i detenuti non si sono arresi. Con i loro avvocati hanno portato la questione davanti ai magistrati di sorveglianza, che alla fine hanno dato uno scossone alle istituzioni.
Sessanta giorni di tempo per sistemare gli spazi e garantire gli incontri, senza più scuse o rimpalli burocratici. La Corte costituzionale aveva abbattuto il divieto, ma il solito balletto delle competenze aveva lasciato tutto nel limbo. Ora, invece, c’è un ordine preciso: attrezzarsi e aprire le porte alla nuova realtà.
A Terni, il carcere ha aperto le porte alla vita privata dei detenuti con una decisione che fa storia. È qui che per la prima volta è stato concesso il permesso per incontri intimi senza sorveglianza, un passo che mette in discussione la vecchia rigidità del sistema penitenziario.
La notizia, lanciata da "Il Resto del Carlino", è il frutto di una sentenza della Corte costituzionale che ha demolito il vecchio divieto di contatti affettivi sotto stretta vigilanza. Il magistrato di sorveglianza ha imposto alla direzione di garantire questo diritto, segnando un cambio di rotta che potrebbe fare scuola in tutto il Paese.
Il problema degli spazi, al netto di qualsiasi battuta di spirito, non è roba da poco. A Padova, il carcere Due Palazzi aveva provato a muoversi, ma il progetto per creare stanze ad hoc è stato impallinato dal governo, che ha scaricato tutto sulle spalle del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP). Risultato? Un bel nulla di fatto. Ora tocca a Terni e Parma rimboccarsi le maniche e trovare una soluzione in autonomia, senza aspettare il solito rimpallo di responsabilità.
A Terni il permesso è arrivato dopo qualche mese di braccio di ferro con la burocrazia, mentre a Parma il detenuto ha dovuto aspettare quasi un anno prima di avere il via libera. Nel frattempo, il sistema ha mostrato tutte le sue lentezze, con richieste che si sono impantanate nei soliti meandri giudiziari.
L'avvocato Pina Di Credico, che ha seguito il caso di Parma, ha raccontato di aver rappresentato anche altri due reclusi con richieste simili, ma solo uno è riuscito a ottenere una risposta positiva. La difesa ha puntato sulla solidità del rapporto coniugale e sul fatto che la sentenza della Corte non escludesse i detenuti in alta sicurezza. Insomma, chi riesce a farsi spazio tra cavilli e lungaggini, qualcosa ottiene. Gli altri restano in attesa, ingabbiati tra norme e rinvii.
La Corte costituzionale ha messo i paletti: gli incontri intimi sono concessi, ma solo per chi non è intrappolato nei regimi del 41-bis e del 14-bis, quelli riservati a chi si è guadagnato restrizioni speciali per crimini di un certo calibro. La sentenza non è solo carta straccia: richiama l'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che ricorda agli Stati che la vita privata e familiare va rispettata, anche dietro le sbarre.