Sono contro la privatizzazione delle Poste i sindacati del settore in Umbria. E oggi sono in scesi in piazza con una manifestazione a Perugia. Slp Cisl, la Slc Cgil e Uil, Confsal comunicazioni, Failp Cisal e Fnc Ugl comunicazioni Umbria hanno portato i lavoratori in piazza Italia. Per dire un “netto no al possibile processo di privatizzazione di Poste italiane“. Le confederazioni del settore postelegrafonico sono scese in piazza per “dare visibilità a una questione che riguarda sì i lavoratori ma anche e soprattutto i cittadini“. I sindacati si sono ritrovati in piazza Italia per esprimere contrarietà anche “alla divisione fra mercato privati e recapiti, per continuare ad assicurare un presidio sociale in molte frazioni, per evitare una situazione di precariato“.
In Umbria – come spiega una nota sindacale – gli uffici postali, esclusi i 16 centri che si occupano di recapito e logistica, sono 258 (191 in provincia di Perugia e 67 in provincia di Terni).
Privatizzazione delle Poste: la protesta dei sindacati parte da lontano
I lavoratori di Poste Italiane in Umbria ammontano a circa 1600, ma erano circa 2400 solo dieci anni fa.
I sindacati, nel corso della manifestazione umbra, hanno ricordato come questo processo di possibile privatizzazione si andrebbe ad aggiungere a una situazione che vede già azionisti privati in Poste Italiane al 30 per cento.
“Dobbiamo ragionare anche in termini di territorio – hanno detto i segretari dei lavoratori delle Poste -. Con la privatizzazione, in Umbria si potrebbe verificare una situazione analoga a quella delle banche e quindi portare ad una sorta di desertificazione degli istituti”.
I segretari delle sei sigle sindacali hanno espresso rammarico per l’assenza al presidio dei rappresentanti delle Istituzioni e, in particolare, di Anci. Perché i Comuni sono le prime vittime di questo processo di indebolimento del territorio.
“Siamo contrari alla privatizzazione di Poste Italiane – hanno ribadito le organizzazioni dei lavoratori – perché produce un utile per lo Stato a cui non possiamo rinunciare. Poste assicura un presidio sociale in molte frazioni e centri montani. La sua cessione porterà alla divisione fra mercato privati e PCL e tutti saremo più precari”.
Sindacati e lavoratori: una settimana di assemblee contro la privatizzazione
Un giro di assemblee si era tenuto, durante la scorsa settimana in tutta la regione Umbria nei posti di lavoro in Poste Italiane. Obiettivo dei sindacati quello di sensibilizzare i lavoratori e i cittadini contro la paventata privatizzazione di Poste Italiane.
“Quello che temiamo è che l’ulteriore privatizzazione si tramuti in un taglio del personale – hanno spiegato i segretari sindacali -. E questo malgrado si sia in presenza di una forte carenza di organico, con utilizzo consistente del lavoro straordinario. L’organico carente crea forti disagi nei servizi a sportello. Si tratta di attività che gestiscono una grande quantità di servizi, in costante trasformazione. Oltre ai servizi classici ed a quelli bancari ora Poste Italiane è entrata anche nel dominio dell’energia, con contratti allo sportello, e in quello assicurativo. A breve, inoltre, saranno rese operative anche atività di disbrigo pratiche pubbliche, come quelle delle carte identità elettroniche e, soprattutto, dei passaporti”.
Dai sindacati critiche verso la gestione delle Poste per quanto riguarda anche la formazione del personale e l’aggiornamento professionale.
In vendita fino al 29% del pacchetto azionario di Poste Italiane
La cessione di una ulteriore quota del 29% di Poste Italiane (il Tesoro e Cassa Depositi e Prestiti controllano poco meno del 65%) dovrebbe avvenire in autunno. L’operazione, secondo quanto reso noto dal Ministero dell’economia e delle Finanze dovrebbe consistere in un’offerta pubblica di vendita aperta sia a investitori istituzionali che al retail.
Circa il 30% dell’intera quota messa sul mercato sarebbe destinata a risparmiatori e dipendenti. Nel caso della cessione del 29% del capitale di Poste, che ai prezzi attuali vale circa 5 miliardi, sarebbe una quota del valore di circa 1,5 miliardi di euro.