Piero Amara, il controverso ex avvocato al centro di vicende giudiziarie legate a Eni e alla famosa “loggia Ungheria”, torna al regime di semilibertà. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della Procura Generale di Perugia, cancellando la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale e disponendo il rientro in carcere. Attualmente, Amara sconta una pena residua di poco più di otto mesi nel carcere di Spoleto per reati gravi: “associazione per delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, concorso in corruzione per un atto contrario ai doveri di uffici e falsità materiale”.

Piero Amara, la svolta dalla Cassazione

La Cassazione ha ribaltato l’ordinanza del gennaio 2023 emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Perugia, che aveva concesso ad Amara la possibilità di svolgere volontariato come misura alternativa al carcere. Secondo il procuratore generale Sergio Sottani, quella decisione si basava su valutazioni “non aggiornate e prive di verifica sugli esiti delle affermazioni con cui Piero Amara aveva formulato accuse nei confronti di terzi soggetti”. Nel ricorso, è stata anche messa in luce la mancata considerazione del programma di trattamento e della relazione del carcere di Spoleto, che aveva evidenziato alcune criticità.

Irregolarità durante il periodo di volontariato

Le ombre sulla condotta di Amara hanno contribuito a questa decisione. Durante il periodo di affidamento, l’ex avvocato aveva svolto attività di volontariato presso la Caritas di Spoleto, ma i rapporti del carcere parlano di “una ‘opacità’ nello svolgimento dell’affidamento in prova, con attività di volontariato presso la locale Caritas durante le quali Amara aveva incontrato persone estranee all’ente e agito in modo autonomo rispetto alle indicazioni ricevute”.

Ritorno alla semilibertà

Per Amara, ora, le regole sono cambiate. Il ritorno alla semilibertà significa che trascorrerà le notti in carcere, mentre durante il giorno potrà dedicarsi ad attività utili al reinserimento sociale. Come riportato dalla Procura Generale, “l’annullamento dell’affidamento al servizio sociale comporta per Piero Amara il ritorno al regime di semilibertà e quindi il rientro in carcere, con la possibilità di trascorrere parte della giornata fuori dall’istituto per partecipare ad attività utili al reinserimento sociale”.

L’intricata vicenda di Piero Amara e la loggia Ungheria

Piero Amara, un nome che fa tremare i corridoi della giustizia italiana, è diventato il protagonista di uno dei capitoli più controversi della cronaca giudiziaria recente. Da legale di spicco con ruoli nell’universo Eni, Amara è passato dall’essere un uomo di fiducia a una figura chiave nei meandri di scandali che intrecciano corruzione, trame occulte e potere.

Le accuse contro Amara hanno radici nei suoi anni come avvocato esterno per il colosso energetico. È stato condannato per “associazione per delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, concorso in corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio e falsità materiale”. Il suo ruolo sarebbe stato quello di orchestrare una rete di complicità per favorire clienti e aziende in cambio di favori e tangenti, il tutto condito da un intreccio di documenti falsi e operazioni finanziarie opache.

La bomba della loggia Ungheria

Nel 2019, durante interrogatori collegati ad altre indagini, Amara ha sganciato una bomba: l’esistenza di una presunta loggia massonica segreta, chiamata Ungheria, che avrebbe coinvolto nomi eccellenti di magistrati, politici e imprenditori. Secondo le sue dichiarazioni, questa struttura parallela avrebbe operato per influenzare decisioni giudiziarie, appalti e incarichi di potere.

Le sue rivelazioni hanno creato un terremoto. Amara ha fatto nomi, accusando figure di rilievo di far parte di questo sistema occulto. Queste dichiarazioni, sebbene clamorose, non hanno trovato riscontri definitivi nelle indagini, ma hanno sollevato una serie di procedimenti e polemiche che hanno lambito persino il Consiglio Superiore della Magistratura. Tra i coinvolti indirettamente dalle sue accuse, spicca il caso di Piercamillo Davigo, ex magistrato condannato per rivelazione di segreti d’ufficio legati proprio alla gestione delle informazioni su questa loggia.

La verità dietro il mistero

La loggia Ungheria è rimasta un’ombra, una suggestione senza conferme tangibili. Le indagini hanno faticato a trovare prove concrete della sua esistenza, ma il solo parlarne ha gettato dubbi e sospetti sull’integrità di alcune istituzioni italiane. Per molti, la loggia rappresenta il simbolo delle dinamiche di potere che sfuggono al controllo pubblico, per altri è solo un’invenzione costruita per sviare l’attenzione dai guai giudiziari di Amara.