Un importante traguardo è stato raggiunto all’Ospedale di Perugia nella lotta contro il tumore, dove è stato eseguito, per la prima volta in Umbria, un intervento chirurgico ad alto rischio per sconfiggere un grave e raro caso di tumore al rene esteso fino al cuore.

L’equipe di urologia, guidata dal professor Ettore Mearini, ha condotto con successo l’operazione in collaborazione con quella di cardiochirurgia, diretta dal dottor Marcello Bergonzini. Il paziente, un uomo umbro di 65 anni, trasferito dall’ospedale di Foligno, è attualmente in condizioni generali “ottime” al proprio domicilio, dopo un recupero post-operatorio rapido e completo.

Perugia, per togliere un tumore, intervento delicatissimo a rene e cuore

Secondo quanto riferito dall’Azienda ospedaliera, il paziente affetto da carcinoma renale presentava una forma particolarmente aggressiva che coinvolgeva l’intera vena cava inferiore fino al suo sbocco nell’atrio destro del cuore. Prima dell’intervento chirurgico, il paziente ha ricevuto un trattamento preliminare di embolizzazione renale.

Il professor Mearini ha descritto l’intervento come estremamente complesso e innovativo, con pochissimi casi simili riportati nella letteratura scientifica internazionale: “Si è trattato di un intervento chirurgico molto complesso che ha richiesto un nuovo approccio con pochissimi casi descritti nella letteratura scientifica internazionale”.

Hanno effettuato l’asportazione radicale del rene e del trombo tumorale, aprendo la vena cava inferiore fino al suo collegamento con il cuore.

Per evitare sanguinamenti e garantire l’afflusso di sangue agli altri organi durante l’operazione, il dottor Bergonzini ha adottato un approccio cardiochirurgico che ha coinvolto la bloccatura temporanea dell’attività cardiaca, mantenendo al contempo la circolazione del sangue attraverso un sistema extracorporeo. 

Queste le sue parole: “Per evitare sanguinamenti, l’intervento è stato eseguito bloccando l’attività cardiaca. C’è stato il mantenimento, però, dell’afflusso di sangue agli altri organi attraverso la circolazione ematica extra-corporea”.

Una strategia chirugica che allunga la vita di cinque anni

Questo approccio multidisciplinare ha dimostrato di migliorare significativamente le possibilità di sopravvivenza a cinque anni, sebbene con un rischio operativo e post-operatorio non trascurabile. Il professor Mearini ha evidenziato che, nonostante i notevoli progressi ottenuti, l’intervento è ancora gravato da un tasso di mortalità intra e post-operatoria del 4-10%. Inoltre, c’è sempre un’alta incidenza di complicanze come l’ischemia miocardica e l’insufficienza renale acuta. 

Spiega il dottor Mearini: “Il carcinoma renale rappresenta circa il 3% dei tumori maligni negli adulti. Una delle caratteristiche precipue di tale tumore è la capacità di invadere la vena cava inferiore, evenienza che si verifica nel 4-10% dei casi. L’invasione della vena cava inferiore, la vena più grande del corpo umano, consiste nella formazione di trombi di natura tumorale al suo interno. Ciò porta a una riduzione del tasso di sopravvivenza a cinque anni a circa il 60%. Il trattamento della trombosi cavale viene eseguito di routine in clinica urologica, essendo anche centro di riferimento per tale patologia.In questo caso l’azione del cardiochirurgo è stata fondamentale per il controllo dell’attività cardiaca”.

Tale strategia chirurgica – ha detto Mearini – “consente di migliorare la sopravvivenza a cinque anni del 31% dei casi rispetto a chi non viene operato. Va sottolineato che, a causa della sua complessità, è gravata da un tasso di mortalità intra e post-operatoria del 4-10% e da un altrettanto rilevante tasso di complicanze, prime tra tutte, l’ischemia miocardica nel 37% dei casi e l’insufficienza renale acuta nel 42,7% dei casi. Dopo circa 6 ore, l’intervento chirurgico mini-invasivo, perfettamente riuscito, si è concluso senza sanguinamenti eccessivi”.

L’Azienda ospedaliera ha sottolineato l’importanza di un trattamento multidisciplinare e l’utilizzo di tecniche chirurgiche innovative per affrontare casi così complessi. Il dottor Bergonzini ha spiegato che l’impiego di una mini-toracotomia ha consentito di evitare procedure più invasive. Ciò ha garantito al paziente una rapida convalescenza con un rischio ridotto di complicanze post-operatorie.