Il Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria ha confermato la piena legittimità dell’ammonimento emesso dal Questore di Perugia nei confronti di una guardia particolare giurata accusata di comportamenti persecutori ai danni di una parrucchiera. Contestualmente, il Tar ha respinto il ricorso presentato dall’uomo contro la revoca della licenza di porto d’armi e della nomina professionale, disposte dal Prefetto.
La decisione, assunta dai giudici amministrativi, ribadisce il principio secondo cui la tutela della sicurezza pubblica e privata può giustificare l’adozione di misure preventive anche in assenza di condanne penali, quando emergono elementi di comportamento incompatibili con l’affidabilità richiesta a chi è autorizzato a portare armi.
La vicenda trae origine dalle denunce, presentate nei primi mesi del 2025, dalla titolare di un salone di parrucchiera, che aveva segnalato una serie di atteggiamenti ossessivi e persecutori da parte di un cliente abituale, all’epoca in servizio come guardia giurata.
Dalle ricostruzioni contenute negli atti amministrativi emerge un quadro di comportamenti ripetuti e progressivamente più invasivi. L’uomo, secondo quanto accertato, avrebbe effettuato numerosi passaggi davanti al negozio - sia a piedi sia a bordo dell’auto di servizio - sostando a lungo nei pressi dell’ingresso e attirando l’attenzione dei presenti, fino a disturbare la clientela e generare nella donna un crescente stato di ansia.
La situazione sarebbe poi degenerata in tre episodi ravvicinati. Nel primo, l’uomo avrebbe tentato di entrare nel locale, colpendo con violenza la porta chiusa dopo essersi visto negare l’accesso. Nel secondo, sarebbe tornato sul posto per inveire contro la parrucchiera, proferendo frasi offensive. Nel terzo, nel corso del pomeriggio, avrebbe urlato contro la donna dalla strada antistante l’attività, attirando l’attenzione dei passanti.
A completare il quadro vi sarebbe inoltre un episodio di avvicinamento “inurbano” nei confronti della parrucchiera e di suo marito, ritenuto dagli inquirenti ulteriore conferma di una condotta molesta e persecutoria. La reiterazione dei comportamenti e il loro evidente carattere intimidatorio hanno spinto l’Autorità di pubblica sicurezza a intervenire in via preventiva, disponendo nei confronti dell’uomo un ammonimento per atti persecutori, volto a tutelare la donna e a prevenire l’escalation di episodi potenzialmente violenti.
L’uomo, difeso dagli avvocati Nicola Barocci e Giuseppe Barbaro, ha impugnato i provvedimenti amministrativi sostenendo che l’ammonimento fosse il risultato di una valutazione parziale e priva di un’adeguata motivazione. Secondo la sua tesi, la Questura e la Prefettura avrebbero accolto in modo acritico la versione fornita dalla denunciante, senza valorizzare le controdeduzioni e gli elementi da lui prodotti a propria discolpa.
La difesa ha inoltre posto l’accento sull’esistenza di uno scambio di messaggi WhatsApp tra le parti, interpretandolo come la prova di un rapporto personale di natura privata, caratterizzato da tensioni reciproche e progressivo deterioramento, ma non riconducibile a una condotta persecutoria. In questa prospettiva, la denuncia sarebbe stata - a detta del ricorrente - una reazione ritorsiva a contrasti di natura sentimentale o relazionale, aggravata da presunte minacce della donna di “distruggere la sua vita professionale”.
Sulla base di tali argomentazioni, l’uomo ha chiesto al Tar l’annullamento dell’ammonimento disposto dal Questore di Perugia e, in via conseguenziale, il ripristino della licenza di porto d’armi e della qualifica di guardia particolare giurata, sostenendo di non presentare alcuna condizione di inaffidabilità o pericolo sociale.
Il Tar Umbria ha respinto integralmente il ricorso, sottolineando la natura preventiva, e non sanzionatoria, dell’ammonimento per stalking. I giudici hanno evidenziato come tale misura sia finalizzata a “anticipare la soglia di protezione della persona offesa e a neutralizzare il rischio di lesioni alla sua sfera di libertà e sicurezza, anche in assenza di procedimenti penali”, ribadendo l’importanza della tutela precoce nelle situazioni di molestie reiterate.
La sentenza chiarisce che i comportamenti contestati non si fondavano esclusivamente sulle dichiarazioni della vittima, ma erano corroborati da testimonianze indipendenti, tra cui quelle di un dipendente del negozio e del marito della donna. In merito ai messaggi WhatsApp prodotti dalla difesa, il Collegio ha rilevato che essi potevano indicare un rapporto interpersonale deteriorato, ma ciò non attenua la rilevanza dei comportamenti materiali molesti documentati negli atti.
Riguardo alla presunta ritorsione, i giudici hanno osservato che la frase attribuita alla donna - pur espressa in termini forti - deve essere interpretata come “una reazione plausibile e proporzionata di difesa” rispetto a condotte insistenti e invadenti, e non come prova di premeditazione o intenti persecutori a danno del ricorrente.
Accertata la legittimità dell’ammonimento, il Tar Umbria ha confermato la validità dei provvedimenti adottati dal Prefetto, consistenti nel divieto di detenzione di armi e nella revoca della nomina a guardia particolare giurata.
“La licenza di porto d’armi - sottolinea la sentenza - non costituisce un diritto assoluto del titolare, ma un’autorizzazione subordinata alla verifica continua della sua affidabilità e correttezza comportamentale”. Il Collegio aggiunge che la figura della guardia giurata, quale incaricato di pubblico servizio, è tenuta a mantenere un comportamento irreprensibile, equilibrato e rispettoso delle norme di convivenza civile, requisito imprescindibile per l’esercizio delle sue funzioni.
Il Tar evidenzia come comportamenti anche solo potenzialmente persecutori siano considerati intrinsecamente incompatibili con l’esercizio di mansioni che implicano l’uso di armi e l’interazione quotidiana con la collettività. La decisione, quindi, ribadisce l’importanza della prudenza e della responsabilità morale nella gestione di incarichi di pubblica sicurezza, confermando che la tutela dell’incolumità altrui prevale sulla mera titolarità di licenze o qualifiche professionali.
La pronuncia del Tar Umbria si inserisce in un solido filone giurisprudenziale orientato a rafforzare la prevenzione delle condotte moleste e a tutelare le potenziali vittime di stalking. Contestualmente, la sentenza riafferma il principio di massima prudenza nell’attribuzione e nel mantenimento delle licenze di porto d’armi, con particolare attenzione alle categorie professionali operanti nel settore della sicurezza privata.
Il caso di Perugia assume quindi un rilievo che va ben oltre le conseguenze individuali: rappresenta un chiaro messaggio istituzionale secondo cui la sicurezza pubblica si tutela innanzitutto attraverso la prevenzione, il controllo responsabile e l’affidabilità morale e professionale di coloro che sono chiamati a garantirne l’effettiva attuazione.