Ogni settimana sembra la replica di un copione già visto. Fischio finale, sconfitta o pareggio, qualche frase di circostanza ai microfoni e poi di nuovo si riparte. Il Perugia, dall’inizio della stagione, sta vivendo un incubo che si ripete con disarmante regolarità. I numeri parlano chiaro e non lasciano spazio a interpretazioni: tre punti in otto partite, frutto di tre pareggi nelle prime giornate, poi cinque sconfitte consecutive. Il Grifo oggi è penultimo in classifica. Il Rimini, ultimo a quota -4, lo tallona da vicino ma sarebbe davanti senza gli undici punti di penalizzazione. Proprio i romagnoli saranno i prossimi avversari dei biancorossi, in un match che già profuma di crocevia al “Renato Curi”.
La prestazione di Carpi è stata la fotografia perfetta del momento che sta attraversando il Perugia. Incommensurabile sul piano tecnico, ma soprattutto disarmante sul piano emotivo. I giocatori sembrano prigionieri della paura. La tensione si legge nei movimenti, nello sguardo, nel modo in cui toccano il pallone, come se pesasse una tonnellata. Il linguaggio del corpo racconta più di qualsiasi statistica: una squadra fragile, bloccata, che teme di sbagliare e finisce inevitabilmente per farlo.
Il problema non è solo tattico o fisico, ma psicologico. Dopo ogni sconfitta arrivano le solite parole di circostanza, i richiami alla compattezza, alla voglia di reagire, ma in campo non si vedono segnali concreti. Il Perugia appare svuotato, incapace di reagire alle difficoltà, con una paura che si autoalimenta partita dopo partita.
Mister Piero Braglia, arrivato con l’obiettivo di dare equilibrio e carattere a un gruppo in difficoltà, si è ritrovato in poco tempo risucchiato nel vortice biancorosso. L’espulsione rimediata all’esordio contro la Sambenedettese gli è costata la squalifica e la lontananza dalla panchina nelle ultime due gare, rendendo ancor più complessa la gestione del momento.
La società, per dare una scossa, ha deciso di mandare la squadra in ritiro la scorsa settimana, ma i risultati non si sono visti. A Carpi è arrivata l’ennesima sconfitta, 2-0, accompagnata da una prova povera di idee, coraggio e convinzione. Eppure, dentro la disfatta, Braglia ha tracciato una linea chiara su cui costruire il futuro: puntare sui giovani, sull’identità e sull’orgoglio.
Nella partita contro il Carpi, Braglia ha mandato in campo dal primo minuto tre ragazzi nati e cresciuti a Perugia: Tozzuolo, Torrasi e Rondolini, quest’ultimo all’esordio assoluto tra i professionisti. Una scelta che non è passata inosservata e che ha il sapore di un segnale forte, un messaggio diretto a tutto l’ambiente.
Questi giovani rappresentano non solo il futuro tecnico della squadra, ma soprattutto un simbolo di appartenenza, di orgoglio, di quella fame che sembra mancare a chi ha più esperienza. A loro si è aggiunta un’altra decisione significativa del tecnico: la fascia di capitano è passata da Angella al classe 2005 Giovanni Giunti, tra i pochi a mostrare carattere e spirito di sacrificio anche nei momenti più difficili. Braglia ha voluto affidarsi a chi ha ancora il fuoco dentro, a chi sente la maglia come un’estensione della propria pelle. È un messaggio chiaro, quasi un ultimatum morale verso chi, finora, ha dato meno del dovuto.
La maglia del Perugia pesa, e tanto. È una maglia che racconta una storia lunga, gloriosa, fatta di salite e discese, ma sempre vissuta con passione e orgoglio. Oggi, però, sembra diventata un fardello per chi non ha la personalità giusta.
Il paradosso è che non sono i giovani a soffrire la pressione, ma i giocatori più navigati. I “senatori” dovrebbero essere i punti di riferimento, ma finora hanno tradito le aspettative, lasciando che fossero i ragazzi a metterci la faccia, la corsa e il cuore. Cinque sconfitte consecutive pesano come macigni, soprattutto se arrivate con prestazioni incolori. Il Grifo invece di crescere sembra involversi, prigioniero di una spirale negativa che ne mina l’autostima.
C’è però un piccolo spiraglio, una fiammella che si è accesa nel finale di Carpi. Con il risultato ormai compromesso, il Perugia ha avuto una minima reazione, cercando di alzare il baricentro e di creare qualche occasione. Nulla di trascendentale, ma quanto basta per far capire che la squadra può ancora provarci, se ritrova orgoglio e voglia. Da qui deve ripartire il lavoro di Braglia. Dall’orgoglio, dalla fame, dall’amor proprio. Prima ancora della tattica, serve ritrovare la mentalità, la convinzione, la consapevolezza dei propri mezzi.
Il Perugia non può più permettersi di aspettare. Il prossimo turno contro il Rimini è già una partita chiave: non solo per la classifica, ma per il morale di un gruppo che ha bisogno disperato di una scintilla. Braglia ha indicato la via: ripartire dai giovani, da chi sente il peso della maglia non come un macigno ma come un onore. Tozzuolo, Torrasi, Rondolini e Giunti sono il simbolo di un possibile riscatto. Perché se la rinascita del Grifo passerà da qualche parte, sarà dal cuore dei suoi ragazzi.